La materia del part time dei pubblici dipendenti, soprattutto guardando al riflesso del beneficio in termini di riduzione dei successivi trattamenti pensionistici, è piuttosto complessa. E’ quindi utile ogni precisazione in merito, specie se stimolata da problematiche reali, raccolte sul campo.
Giunge quindi a proposito il quesito di un medico, appresso riportato:
Ho 53 anni, sono dipendente a tempo pieno e indeterminato con quasi 33 anni di contribuzione, in servizio dal gennaio 1977.
Se passo a part-time con 24 ore settimanali, la mia pensione ai 40 anni di contribuzione sarà ridotta rispetto a quella che maturerei restando a tempo pieno?
Sicuramente si; allora come posso comportarmi dato che ho necessità di ridurre l’orario a causa di problemi seri di salute dei miei genitori? Esiste la possibilità di integrazione volontaria ed utile di detti contributi, considerando anche che la mia pensione sarà calcolata con il sistema retributivo?
Per dare una risposta adeguata, occorre innanzitutto valutare gli effetti del part-time sulla pensione finale.
Come inciderà questa riduzione sul calcolo del trattamento pensionistico? Innanzitutto, si ridurrà il moltiplicatore del coefficiente di rendimento annuo (i famosi quarantesimi che portano il massimo della pensione all'80% dello stipendio, o, meglio, della base pensionabile).
Poi (se il part time viene svolto negli ultimi 10 anni di attività) varierà la base pensionabile: dato che occorrono 10 anni di compensi, corrispondenti a 520 settimane di servizio, e in alcuni anni se ne conteggeranno solo 33, occorrerà retrocedere oltre gli ultimi 10 anni solari, sino a raggiungere le 520 settimane. Questa operazione porta ovviamente ad una contrazione della base pensionabile, secondo il principio che gli ultimi stipendi sono di solito sempre i migliori della carriera.
Ha dunque ragione il medico che dice che la sua pensione sarà ridotta rispetto a quella che si otterrebbe restando a tempo pieno. Ma come evitare queste penalizzazioni?
Ci sono due strade, previste dall'art. 8 del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 564, come modificato dal D. Lgs. 278/1998. La prima strada è costituita dal riscatto dei periodi scoperti, con versamento della riserva matematica corrispondente; la seconda è rappresentata dalla contribuzione volontaria.
Le modalità del riscatto sono quelle consuete, e i costi dovrebbero essere quelli normali di un riscatto negli enti pubblici; trattandosi però di un soggetto con 53 anni di età e 33 anni di contributi, per di più donna, e quindi con coefficienti di trasformazione piuttosto importanti, si ritiene che l’onere della contribuzione dovuta sia significativo.
L'altra possibilità (quella della contribuzione volontaria) è dettagliatamente illustrata dall’Inps nella circolare n. 29 del 23 febbraio 2006, e si ritiene che anche l’Inpdap dovrebbe ispirarsi a principi simili. Gli iscritti potranno essere autorizzati ai versamenti volontari in parola a condizione che presentino domanda di autorizzazione, pena la decadenza, entro i 12 mesi successivi alla data di scadenza ordinaria del termine per la consegna ai lavoratori della certificazione CUD riferita all'anno interessato.
L'importo del contributo dovuto dovrà essere quantificato sul valore medio settimanale della retribuzione imponibile percepita dal richiedente nell'anno interessato, applicando l'aliquota in vigore nel medesimo anno (grossolanamente, circa un terzo dello stipendio lordo).
In entrambi i casi si tratterà comunque di coprire contributivamente le 19 settimane annuali che restano sprovviste di versamento previdenziale per effetto del part time.
Per la convenienza dell'operazione, occorrerà effettuare dei calcoli specifici, ma ad occhio e croce, se si tratta di soggetti, come quello in esame, che comunque possono raggiungere i 40 anni di contribuzione ai fini della misura del trattamento semplicemente continuando a lavorare, si può generalmente affermare che le cose possono restare come stanno senza troppe recriminazioni. Certo, va considerata la completa deducibilità fiscale tanto del riscatto quanto dei versamenti volontari, ma il vantaggio in termini di incremento della pensione non appare eccezionale.
Vanno peraltro considerati casi particolari, come quando il riscatto serve proprio a raggiungere, ad esempio nelle forme di part-time ciclico (cioè con interruzione del servizio per settimane o mesi interi), il diritto a pensione; oppure quando, negli ultimi 10 anni di attività utili ai fini del calcolo, si viene ad inserire una promozione importante (ad esempio la direzione di struttura semplice o complessa). In questi casi, occorre una maggiore attenzione nella valutazione del da farsi.
Se il medico o l’odontoiatra dipendente, a 65 anni di età, ha raggiunto il diritto alla pensione (cioè ha 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva più tre mesi di finestra se uomo e 41 anni e 10 mesi se donna), deve essere collocato a riposo
Quando ad essere accentrati sono periodi contributivi particolarmente lunghi, il costo può diventare importante e divenire un deterrente spesso insuperabile
L’integrazione, in Enpam, è curata dal Servizio Trattamento Giuridico e Fiscale delle Prestazioni, dell’Area della Previdenza.
Il cedolino è già disponibile, mentre i pagamenti partiranno a inizio mese
Se il medico o l’odontoiatra dipendente, a 65 anni di età, ha raggiunto il diritto alla pensione (cioè ha 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva più tre mesi di finestra se uomo e 41 anni e 10 mesi se donna), deve essere collocato a riposo
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