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Veronesi, allargare i test per la diagnosi di cancro al seno con l’aiuto degli Mmg. Sondaggio: per gli italiani guarire dal tumore è solo questione di fortuna

Oncologia Redazione DottNet | 15/03/2011 09:35

Allargare i test per la diagnosi precoce del cancro al seno alle donne minori di 50 anni e maggiori di 69, e dimezzare da due anni a uno l'intervallo di tempo fra un esame e il successivo. L'appello alle istituzioni arriva dall'oncologo Umberto Veronesi, in un messaggio inviato in occasione di un incontro organizzato oggi a Milano da 'Europa Donna', movimento di opinione europeo per la lotta al tumore del seno, nato nel 1993 proprio da un'idea dell'ex ministro della Sanità e direttore scientifico dell'Istituto europeo di oncologia (Ieo) del capoluogo lombardo. Veronesi  afferma che "le istituzioni devono impegnarsi per garantire l'accesso al percorso di diagnosi, che sia allargato alla fascia di donne fra i 40 e i 70 anni e che sia annuale (e non biennale). Solo in questa maniera - si legge nel messaggio - sarà possibile ottenere risultati importanti nella lotta contro la malattia".

 La richiesta dello scienziato è la stessa di Europa Donna che fra i suoi obiettivi, oltre alla diffusione in tutta la Penisola di centri specializzati nella diagnosi e nel trattamento del cancro al seno (Breast Unit), ha proprio quello di definire e mettere in atto "programmi di screening personalizzati in base ai diversi fattori di rischio di ogni donna", afferma la presidente della 'lobby rosa' Rosanna D'Antona. Europa Donna punta per prima cosa a "uniformare l'offerta di screening in tutte le regioni italiane", dice D'Antona, ricordando i dati dell'Osservatorio nazionale screening: "La percentuale di donne tra i 50 i 69 anni che ricevono la lettera di invito per l'esame è di 89% al Nord, 77% al Centro e solo del 38% al Sud. E questo accade nonostante in Italia i programmi di screening mammografico siano compresi per decreto ministeriale nei livelli essenziali di assistenza (Lea)", precisa la presidente. D'altra parte, però, Europa Donna chiede anche alle istituzioni di "investire e ragionare sull'appropriatezza dello screening", appunto "mettendo in atto programmi personalizzati in base ai diversi fattori di rischio". Accoglie l'appello la senatrice Laura Bianconi (Pdl), referente di Europa Donna a Palazzo Madama e membro della Commissione Igiene e Sanità. "I dati relativi al ricovero per tumore al seno - evidenzia la senatrice - ci dicono che solo nel 45% dei casi le pazienti rientrano nella fascia d'età per la quale è previsto l'invito allo screening (50-69 anni). Il 35% ha più di 69 anni e il 29% meno di 50", e di questa quota di 'malate giovani' "il 50% ha addirittura meno di 40 anni". Da qui le proposte: da un lato, "nella fascia 50-69 anni, prevedere oltre allo screening biennale uno step intermedio annuale", dall'altro "estendere lo screening alle donne over 69 e under 50.

In particolare, al di sotto dei 40 anni, con la collaborazione dei medici di famiglia, è importante selezionare target specifici di donne particolarmente a rischio da controllare periodicamente. Con un lavoro di team - è convinta Bianconi - la sfida della diagnosi precoce può essere vinta". Sanno che il tumore al seno è il più diffuso fra le donne; conoscono, almeno a parole, l'importanza della diagnosi precoce, ma sono confusi sui fattori di rischio, si fidano poco dell'impegno delle istituzioni e sono fortemente disillusi: l'84% ritiene che guarire sia una questione di fortuna, il 57% crede sia meglio ammalarsi al Nord che al Centro-Sud e la metà non saprebbe cosa fare in caso di diagnosi. Sono disorientati e impauriti gli italiani interrogati sul cancro al seno dall'Istituto di ricerche Ispo, che per la prima volta ha condotto per Europa Donna un'indagine conoscitiva sulla consapevolezza dei connazionali verso il big killer che nel nostro Paese colpisce in media una donna su 8, con circa 40 mila casi all'anno.  L'indagine, condotta su un campione rappresentativo della popolazione italiana, è stata illustrata a Milano da Renato Mannheimer, alla presenza della presidente di Europa Donna Rosanna D'Antona, della senatrice Pdl Laura Bianconi, referente della 'lobby rosa' a Palazzo Madama e membro della Commissione Igiene e Sanità, e dell'oncologo Alberto Costa. In caso di malattia, rispondono quindi più di 8 italiani su 10, "bisogna sperare di essere fortunati perché non sempre ci si imbatte in medici e strutture competenti".

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E ciò che più invita a riflettere, commenta Mannheimer, è che la percentuale di chi chiama in causa il 'fattore fortuna' sale all'88% tra chi ha vissuto da vicino la neoplasia. Di più: la pensano così 18 donne su 21 che hanno dichiarato di essersi ammalate a loro volta. Dall'istantanea scattata dall'Ispo emerge che 7 italiani su 10 sanno che il tumore al seno è il più diffuso fra le donne e che la fascia d'età 35-50anni è quella più colpita. Chiamati a indicare i fattori di rischio, però, l'81% punta il dito contro il fumo e lascia in coda alla classifica i pericoli maggiori e cioè ingrassare (48%), condurre una vita sedentaria (44%) e avere figli in età avanzata (28%). Davanti a un'ipotetica diagnosi di cancro al seno, poi, l'Italia si spacca in due: metà campione dice che saprebbe cosa fare, mente l'altra metà no. Più precisamente, l'Ispo divide i connazionali in tre categorie: quelli 'sicuri' di riuscire a individuare un punto di riferimento in caso di bisogno (44%, specie donne e abitanti del Nord), gli 'incerti' (17%) e gli 'smarriti' (39%, perlopiù uomini e abitanti del Centro).Ma a chi si rivolgerebbero gli italiani in caso di diagnosi? Genericamente "all'ospedale" (26%). Il centro oncologico segue a grande distanza (6%), come pure il senologo (4%). E anche tra chi assicura di sapere come muoversi, i più gettonati restano il generico ospedale o il medico di fiducia (49% delle risposte con un picco del 63% al Centro), mentre strutture specializzate e senologi arrivano solo al secondo posto (47% con una punta del 57% al Nord Ovest).Del resto, dall'indagine Ispo risulta anche che appena un italiano su 5 (specie al Nord Ovest) ha sentito parlare di 'Breast Unit', i centri specializzati contro il cancro al seno dalla diagnosi alla riabilitazione. Passando alla diagnosi precoce, quasi all'unanimità (94%) gli italiani sanno che è cruciale per aumentare le probabilità di cura. La mammografia è il test più eseguito (68%), seguito dall'autopalpazione (65%) e dall'ecografia (57%). Ma se è vero che 8 donne 50-54enni su 10 dichiarano di effettuare regolarmente un esame, le restanti due non lo fanno, nonostante la fascia d'età sia quella coperta dagli screening su invito. Infine, stando ai dati della ricerca, le istituzioni devono fare ancora molto per guadagnarsi la fiducia dei cittadini. Secondo gli intervistati, infatti, Regioni e Governo dovrebbero impegnarsi contro il big killer 'in rosa' (lo affermano rispettivamente il 96% e il 95%), ma alla prova dei fatti questa aspettativa viene delusa: le percentuali di chi pensa che i governi regionali e quello nazionale facciano abbastanza crolla al 67% e al 51%."Anche se in Italia il tumore al seno è trattato molto meglio che in altri Paesi europei, resta ancora molta strada da fare", ammette la senatrice Bianconi. Che tuttavia promette un impegno bipartisan da parte delle 'quote rosa' in Parlamento: "Siamo in poche, ma su queste tematiche siamo agguerritissime e assolutamente unite - assicura - Non c'è colore politico che tenga, c'è grande determinazione da parte di tutti e insieme possiamo vincere la sfida".

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