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Generici, dal 15 aprile l’Aifa taglia i prezzi di oltre quattromila prodotti: “aumenterà la diffusione e lo Stato risparmierà 600milioni”. Sì dai medici di medicina generale (Simg), timori delle associazioni di categoria

Farmaci Silvio Campione | 14/04/2011 13:09

Dal prossimo 15 aprile oltre 4mila farmaci generici fuori brevetto subiranno un abbattimento del prezzo di listino fino al 40%. Con un conseguente risparmio per i cittadini ma anche per le casse dello Stato, che secondo le prime stime dovrebbe risparmiare 830 milioni di euro l'anno e circa 625 milioni di euro solo per il 2011. Come era nelle previsioni l'Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) ha infatti reso noto e pubblicato  la cosiddetta 'lista trasparenza' (che alleghiamo a Dottnet), che contiene l'elenco dei nuovi prezzi di riferimento dei farmaci equivalenti fuori brevetto. Si tratta di una lista di 4189 farmaci il cui prezzo e' stato ridotto, cosi' come previsto dalla manovra estiva 2010, sulla base del confronto con i prezzi vigenti in altri Paesi europei, UK, Germania, Francia e Spagna. "Tale lista - spiega l'Aifa - riporta i prezzi di riferimento che saranno vigenti a partire dal 15 aprile 2011, comprensivi della riduzione prevista ai sensi della determinazione Aifa del 3 luglio 2006, dell'ulteriore riduzione del 5% ai sensi della determinazione Aifa del 27 settembre 2006, dell'art.9 comma 1, della Legge 28 febbraio 2008, n.31".
 

 Parere favorevole è arrivato da Claudio Cricelli, Presidente SIMG, per il quale “i medici di medicina generale sono da sempre i primi interlocutori dei cittadini in tema di sanità. Nostro compito primario è quello di fornire ai pazienti informazioni esaustive su prevenzione e stile di vita, oltre che gestione delle terapie prescritte, con particolare riferimento ai farmaci equivalenti. Il maggior ricorso a questo tipo di farmaci consentirebbe infatti un notevole risparmio al Sistema Sanitario, con la garanzia di una terapia efficace e sicura”. La forbice sui listini potrebbe in parte sollevare anche i bilanci dei cittadini. Pur riguardando solo i farmaci di fascia A, infatti, la lunghissima lista include molte specialità di uso comune, come antibiotici e antinfiammatori, che spesso vengono acquistati anche senza ricetta rosa, pagandoli per intero.  Tra i “tagliati” ci sono molecole utilizzatissime come lo Zovirax, l’Aulin, l’Oki, il Brufen o il Lansox, e i rispettivi generici. L’accetta non è caduta a caso. I tagli sono stati operati sui medicinali il cui prezzo finale era sopra la media europea. I tecnici dell’Aifa hanno estratto dai database europei i prezzi delle specialità in questione in quattro paesi: Spagna, Francia, Germania e Regno Unito, e, fatta la media, hanno adeguato attraverso una complessa procedura anche i listini italiani, laddove questi si discostavano verso l’alto.  Esenti dai ritocchi solo i farmaci che già costano sotto i due euro.  Per tutti gli altri, il prezzo finale è stato livellati fino al 40%. Tagliati dell’8% anche i prodotti il cui costo era in linea con quello degli altri paesi. Tutto frutto dell’applicazione di una norma, la 122 del 2010, approvata la scorsa estate per “incentivare il consumo dei medicinali equivalenti”. All’articolo 11 il testo prevede che l’Aifa, “sulla base dei prezzi vigenti nei paesi dell’Unione europea, fissa un prezzo massimo di rimborso per confezione, a parità di principio attivo, di dosaggio, di forma farmaceutica, di modalità di rilascio e di unità posologiche”.  I tagli, insomma, erano nell’aria. Ma l’operazione, che farà pure bene alle casse dello Stato e in parte alle tasche dei cittadini, non è stata ben gradita dall’industria. Le più allarmate di tutti sono le aziende di Assogenerici, l’associazione che rappresenta i produttori di medicinali equivalenti, che vedono il provvedimento come una mannaia. “Nel resto d’Europa i generici hanno prezzi particolarmente contenuti a fronte di volumi che in Italia non sono assolutamente accessibili”, ha detto il presidente dell’associazione Giorgio Foresti, che si è opposto al livellamento dei listini.   Foresti ha anche espresso timori sul fatto che le aziende più piccole potrebbero non riuscire a rimanere sul mercato: “Con il calo dei prezzi generici fino al 40 % calerà ulteriormente la quota di mercato occupata ora dai medicinali equivalenti, che passerà dal 10 al 7%”, ha detto, per poi concludere: “Molte aziende, dopo questa manovra, si ritireranno dal mercato italiano con ricadute molto pesanti”. Anche lo scenario dipinto da Sergio Dompé, presidente di Farmindustria, non è dei più rosei: "non ritengo sia stata una mossa corretta, stavolta si è esagerato. Lo definirei un 'accanimento terapeutico' nei confronti del settore farmaceutico". "Condivido l'opinione delle industrie che producono farmaci generici - dice Dompe'  - perché", nel fissare i nuovi prezzi basandosi sull'esempio degli altri Paesi dell'Ue, come evidenziato dall'Aifa, "siamo andati ben al di sotto della media europea. Ci si è attestati, piuttosto, sulla media dei rimborsi minimi". Quindi anche questa volta" l'Italia fa registrare un record in negativo, "nonostante la spesa pro capite per farmaci nel nostro Paese sia del 30% inferiore rispetto alla media degli altri Stati membri dell'Ue e i ricavi industriali siano fra i più bassi: se in Gran Bretagna un'azienda prende 80 su 100, da noi prende 60 su 100". Secondo Dompé bisogna inoltre tenere conto che "negli ultimi anni la spesa farmaceutica territoriale è diminuita a valori, mentre altri voci di spesa sanitaria sono aumentate fino al 60%. Insomma - conclude - in questo modo si mina la competitività degli stabilimenti italiani, intervenendo solo in un settore", quello della farmaceutica, lasciandone 'impuniti' altri. Molti analisti, come quelli del centro studi Cerm condividono queste paure.  Secondo gli esperti del Cerm, infatti, sarebbe stato più opportuno procedere a una revisione dell’attuale sistema di distribuzione al dettaglio dei medicinali attraverso le farmacie dal quale, appunto, derivano “effetti distorsivi” tali da influenzare anche “la fase della produzione”.

Un intervento “diverso” – di competenza ovviamente del legislatore più che dei tecnici Aifa – diretto “all’ammodernamento della distribuzione” che avrebbe potuto “generare effetti positivi almeno dello stesso ordine di grandezza, strutturali e coerenti con il progetto complessivo di nuova governance della farmaceutica”. Ma come fare? Il Cerm ha già pronta una sua ricetta: per raggiungere gli obiettivi citati, il Cerm propone innanzitutto di agire “sulla chiusura e dai comportamenti oligopolistici delle farmacie”. Sotto accusa, in particolare il meccanismo di remunerazione, con margini proporzionali al prezzo di vendita, che, secondo gli autori incentivano la vendita dei prodotti più costosi ed “erodono gli spazi” per i farmaci (“le copie”) più economici, “rallentando la concorrenza di prezzo, a danno del Ssn”. Anche l’aumento dei margini della farmacia sulle “copie economiche” (+9,83%) e sui “prodotti in-patent, sui farmaci un tempo coperti da brevetto (originator off-patent) e su quelli che abbiano illo tempore usufruito di licenze dagli originator ora off-patent” di 1,83 punti percentuali, appare negativo. Così come negativi sono il sistema della pianta organica e del prezzo dei farmaci uniforme sul territorio nazionale. Secondo il Cerm applicando anche qui il meccanismo della legge Bersani (“altro non è stata se non la rimozione della pianta organica e dello uniform price su questo specifico comparto di prodotti”) si otterrebbero risparmi intorno al 10% (su gli oltre 11 miliardi di euro di spesa farmaceutica convenzionata). E ancora: se si allargasse la vendita dei farmaci di Fascia “C-Op” come auspicato dallo stesso Cerm e dall’Antitrust, la spesa a carico dei cittadini potrebbe ridursi di un ammontare annuo compreso tra 320 e 960 milioni di Euro (con sconti sui margini della distribuzione tra il 10% e il 30% del prezzo al consumo). Una tesi che non piace alla Fofi, che respinge tutte le accuse alle farmacie: “Si sostiene che è il farmacista a promuovere l’acquisto del farmaco più costoso – sostiene Andrea Mandelli -, ignorando evidentemente che quando si tratta di farmaci di fascia A non è certo il farmacista che prescrive uno o l’altro farmaco; il farmacista ha solo la possibilità di proporre la sostituzione nel caso esista un equivalente e sempre che il paziente accetti e il medico non  abbia indicato la non sostituibilità”. “Ciononostante – continua Mandelli -, la stessa Autorità garante della concorrenza e del mercato, che il Cerm ama citare a supporto delle sue tesi, ha riconosciuto l’impegno dei farmacisti nel proporre la sostituzione nella relazione conclusiva della sua indagine sugli Ordini professionali”. “Peraltro, non va trascurato che non è solo la concorrenza dell’originatore a brevetto scaduto che ha frenato la penetrazione del generico, quanto il fatto che, nell’imminenza della scadenza di un brevetto, si è sempre assistito allo spostamento delle prescrizioni sui farmaci terapeuticamente sovrapponibili ancora coperti da brevetto – dice ancora il presidente della Fofi -. Ci sono poi altri fattori che hanno frenato questo mercato, per esempio il continuo riallineamento degli originatori ai prezzi degli equivalenti, oppure altre pratiche ostruzionistiche nei confronti dell’arrivo dei generici sul mercato come sostenuto dall’allora Commissaria europea alla concorrenza Neelie Kroes)”. “Non ultima quella relativa alla disciplina sulla proprietà intellettuale che è costata all’Italia una procedura di infrazione – conclude Mandelli -. Che cosa c’entri in tutto questo la pianta organica delle farmacie è arduo comprendere, soprattutto se si considera  che in Germania, dove il generico ha una diffusione enorme, esistono un servizio farmaceutico regolato e una serie di incentivi alla dispensazione degli equivalenti. Incentivi presenti anche nella liberalissima Svizzera”. Ma i più spaventati sono i sindacati di settore. Le organizzazioni di categoria dei chimici Filctem-Cgil, Femca-Cisl e Uilcem-Uil, hanno diramato un comunicato sul taglio dei prezzi che la dice lunga: “L'effetto positivo del provvedimento rischia di essere annullato per le conseguenze, già annunciate, legate alle scelte delle imprese di decentrare le attività produttive in altri paesi e di ridurre i costi tagliando ulteriormente l'occupazione”. Clicchi qui per essere informato.

 

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