Le liberalizzazioni, nel campo farmaceutico, possono avere 'effetti indesiderati' anche per i cittadini. La ventilata ipotesi, per esempio, di deregolamentare le aperture delle farmacie, superando la pianta organica, potrebbe portare a una riduzione del servizio nelle aree più periferiche, con la chiusura dei poco remunerativi dispensari e farmacie rurali. E' lo scenario tracciato da uno studio presentato a Roma dall'Unione nazionale consumatori (Unc) e su cui Federfarma fa una stima concreta, su dati Istat, della possibile 'desertificazione': a rischio ci sarebbero infatti 2.800 Comuni (circa 2.500 le farmacie) con meno di 1.500 abitanti ciascuno, dove risiedono circa 2.300.000 italiani.
L'analisi economica illustrata oggi dall'Unione nazionale consumatori è stata realizzata da un pool di studiosi del Resc (Ricerche economiche società cooperativa) con l'obiettivo di valutare la capillarita' della presenza dei presidi farmaceutici sul territorio (confermata dai risultati dello studio) e valutare se il superamento della pianta organica porterebbe a una maggiore efficienza, aspetto messo in dubbio dall'indagine. "Crediamo che le liberalizzazioni - spiega il segretario generale dell'Unc, Massimiliano Dona - siano in generale strumenti positivi per i consumatori perché, in linea teorica, una sana concorrenza produce benefici per gli utenti (in termini di capillarità dell'offerta e minori prezzi) e per il mercato (in termini di competitività per le imprese e migliore occupazione)". Il settore dei farmaci, però, non è, secondo Dona, assimilabile agli altri. "Abbiamo apprezzato e sostenuto le forme di liberalizzazione finora avvenute nel settore.
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