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Varate dal ministero le linee guida sugli eventi avversi: non usare mai la parola “errore”. Cassazione: essenziale il ruolo degli infermieri negli ospedali che devono vigilare sul malato

Sanità pubblica Silvio Campione | 21/06/2011 09:24

Gestire l'evento avverso che puo' verificarsi in sanita' da un lato con procedure definite e operatori formati a una cultura della segnalazione, e dall'altro con una comunicazione puntuale e tempestiva a paziente, familiari e mass media. Sono questi i punti principali delle Linee guida redatte dal ministero della Salute sugli eventi avversi in sanita', che pongono molta attenzione su una gestione e comunicazione prudente, tanto che si consiglia, quando si parla, di non 'usare la parola errore' ne' parlare di colpe e responsabilita'.
 

Le linee guida, realizzate in accordo con il ddl sulle sperimentazioni cliniche, dovranno poi essere definite e adattate al contesto locale da Regioni e strutture sanitarie, e prevedono due macro-fasi su cui predisporre le procedure per la gestione dell'evento avverso: analisi dell'evento e sua comunicazione. La fase dell'analisi e' articolata nella segnalazione dell'evento, l'identificazione dei fattori causali e azioni di miglioramento e valutazione. Il che deve avvenire in tutti i casi in cui si verifica un evento avverso (cioe' un evento inatteso correlato al processo assistenziale e che comporta un danno al paziente, non intenzionale e indesiderabile) o un near miss (un errore che ha la potenzialitaa' di causare un evento avverso che non si verifica per caso fortuito, perche' intercettato o privo di conseguenze avverse per il paziente).
La seconda fase e' quella della comunicazione e contenimento del danno e suo ristoro, che deve avvenire esprimendo rincrescimento e relazionandosi con il paziente e i familiari, attivando azioni di sostegno agli operatori, una comunicazione istituzionale esterna veritiera, completa, seria ed esaustiva e favorendo la definizione stragiudiziale. Il Ministero spiega che i principi base di una comunicazione aperta sono trasparenza, tempestivita' e completezza delle informazioni. Nel farlo pero', le norme sul linguaggio da utilizzare, oltre a consigliare di parlare lentamente, non usare lessico tecnico, ripetere i concetti, assicurarsi che l'interlocutore abbia compreso e lasciare spazio alle domande, dicono che 'e' opportuno non utilizzare il termine 'errore'', non 'attribuire colpe o responsabilita'', ed evitare 'il riferimento al fatto che il danno avrebbe potuto essere peggiore, il confronto con casi simili a decorso diverso'. In ogni caso l'evento avverso e le sue conseguenze vanno comunicati da un operatore dell'unita' operativa che ne conosca la storia clinica, preferibilmente dal medico di riferimento, o se non presente, una figura deputata alla comunicazione. Tutto cio' non appena accertato il fatto, quando il paziente e' clinicamente stabile ed in grado di accogliere quanto gli verra' detto. La struttura sanitaria deve essere la prima fonte di informazione verso i media e gli altri soggetti esterni interessati, evitare silenzi, omissioni di dati, incoerenze o ambiguita'.

Intanto la Cassazione scende di nuovo in campo con un’altra sentenza e che questa volta riguarda i paramedici e la loro interfaccia con i sanitari. Secondo la Suprema corte non si deve mai sottovalutare il ruolo degli infermieri negli ospedali: hanno una funzione di "garanzia", e "svolgono un compito cautelare essenziale nella salvaguardia del paziente". Così la Cassazione  richiama al principio di responsabilità, nella tutela dei malati ricoverati, non solo i medici ma anche gli infermieri. La Suprema Corte ha esaminato le accuse rivolte ai dottori e a due infermieri dell'ospedale civile di Canosa di Puglia incolpati, dalla famiglia di un paziente, di aver sottovalutato le condizioni del familiare, operato a seguito di un incidente stradale e morto nel decorso post operatorio per emorragia cerebrale. Gli infermieri, in particolare, erano stati accusati per non aver chiamato subito il medico al peggiorare delle condizioni del malato, nonostante le richieste dei parenti. Il gip di Trani aveva dichiarato "non luogo a procedere" e aveva anche sottolineato che gli infermieri non avevano profili di colpa in quanto svolgono una "funzione ausiliaria" e non hanno "l'obbligo di avvertire il medico di reparto di qualsiasi lamentela dei parenti del paziente". La decisione non è piaciuta ai giudici della Quarta Sezione Penale, che hanno annullato la sentenza con rinvio. Scrive, infatti, la Cassazione nella sentenza n.24573: "rientra nel 'proprium' non solo del sanitario ma anche dell'infermiere quello di controllare il decorso della convalescenza del paziente ricoverato in reparto, così da poter porre le condizioni, in caso di dubbio, di un tempestivo intervento del medico". Non solo, la considerazione fatta dal gip "finisce con il mortificare le competenze professionali di tale soggetto, che invece, svolge un compito cautelare essenziale nella salvaguardia della salute del paziente, essendo, l'infermiere onerato di vigilare sul decorso post-operatorio, proprio ai fini di consentire, nel caso, l'intervento del medico".

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