Farmacie, la situazione in Italia: il giro d’affari è di circa 2,5 miliardi di euro

Diciottomila farmacie per ottantamila iscritti all'Ordine dei farmacisti: è di oltre 1 a 4 il rapporto tra le convenzioni concesse dai comuni italiani e i potenziali titolari di farmacie, che potrebbero essere favoriti da una liberalizzazione del settore che il governo Monti è riuscito ad inserire solo in piccola parte nella manovra Salva-Italia, frenato dalla minaccia di serrata di Federfarma. La partita potrebbe, però, come descrive il quotidiano Il Mattino di Napoli, riaprirsi a breve, vista l'intenzione dichiarata dall'esecutivo di tornare sulle liberalizzazioni in maniera più incisiva nella cosiddetta fase due.
È ovvio che non tutti gli iscritti all'Ordine aspirino a diventare proprietari di un esercizio (c'è chi già lavora come dipendente in farmacie pubbliche o private, chi insegna o fa ricerca in università o imprese del settore, chi è impiegato in una Asl, in un'azienda farmaceutica che produce medicinali, chi fa l'informatore scientifico), ma è altrettanto palese che sarebbero migliaia i professionisti, soprattutto giovani, interessati ad un allargamento del mercato che potrebbe realizzarsi sia attraverso un aumento del numero di convenzioni attualmente in essere, sia autorizzando la vendita di farmaci della fascia C (quelli con obbligo di ricetta ma non rimborsati dallo Stato: analgesici, antinfiammatori, viagra e simili) nelle parafarmacie e nei corner predisposti in supermercati ed ipermercati. Si parla di un giro d'affari valutato nell'ordine dei 2,5 miliardi di euro che i titolari di farmacie non intendono condividere con i nuovi arrivati. Questo nonostante la tanto avversata riforma Bersani del 2007 (che liberalizzava la vendita di farmaci da banco, cioè quelli senza obbligo di ricetta, consentendola anche in punti vendita diversi dalle farmacie purché in presenza di un iscritto all'Ordine) non abbia fatto crollare il sistema: oltre il 90% dei prodotti Otc, infatti, continua ad essere acquistato nei negozi tradizionali. È pur vero, però, che la rete alternativa è in forte crescita: il Forum delle parafarmacie, che rappresenta i quasi 4mila punti vendita italiani (di cui circa 300 legati alla Gdo), parla di 7.
500 posti di lavoro creati in 5 anni. Si tratta di farmacisti assunti dalle società di grande distribuzione, dipendenti di parafarmacie aperte da soggetti già titolari di farmacia e, infine, da iscritti all'Ordine che, considerando un miraggio la possibilità di aprire una propria farmacia, hanno preferito cominciare a ”spacciare” tisane e vitamine pur di mettersi in proprio. Quasi impossibile, infatti, ottenere una convenzione per concorso: sono banditi in numero molto limitato, con requisiti non favorevoli ai giovani, a cominciare dal numero di pubblicazioni vantate. Peggio ancora, sperare di acquistare una farmacia: si parla di prezzi che vanno dai 500mila euro fino a dieci milioni, con punte estreme di decine di milioni di euro per attività con grossi fatturati, in zone di particolare prestigio. Più facile ereditarla o sposare un titolare o figlio di titolare di convenzione. Per questo il governo Monti aveva tentato di aprire il mercato con un provvedimento che è poi restato in manovra, ma molto ammorbidito rispetto alle intenzioni. Si è previsto che l'Aifa (Agenzia italiana per il farmaco) debba predisporre una lista di medicinali, tra quelli presenti nella fascia C, che sarà possibile vendere anche al di fuori delle farmacie perché declassati a prodotti senza obbligo di ricetta, inserendoli di fatto tra gli Otc. La modifica che ha azzoppato la liberalizzazione, promossa da alcuni parlamentari del Pdl, soddisfa Federfarma perché ribadisce il principio che i medicinali con ricetta possono essere venduti solo dalle farmacie.
«Se si venderanno nei supermercati, nei piccoli paesi spariranno le farmacie», è la tesi della presidente della federazione unitaria dei farmacisti italiani, Annarosa Racca, che sottolinea come, a spingere per la liberalizzazione ci siano «le cattedrali del carrello e del consumismo». Di parere opposto il presidente del Forum nazionale delle parafarmacie, Giuseppe Scioscia, che ricorda come anche nei punti vendita alternativi ci siano farmacisti iscritti all'Ordine, invitando, quindi, il governo a respingere l'atteggiamento discriminatorio di Federfarma: una posizione condivisa dal mondo delle cooperative, che rappresenta gran parte delle parafarmacie presenti nella grande distribuzione, che sottolinea come una reale liberalizzazione del mercato possa portare a centinaia di milioni di euro di risparmi per l’abbassamento dei prezzi, e ad un forte aumento dell’occupazione. In vista dell'incontro del 10 gennaio con il ministro della Salute, Renato Balduzzi, Scioscia sottolinea poi che i negozi non convenzionati chiedono, «oltre alla liberalizzazione della vendita di tutti i farmaci di fascia C», anche «l’abbattimento del limite minimo di 12.500 abitanti» per i Comuni in cui si può applicare la liberalizzazione: «È anticostituzionale - dice - negare i vantaggi della riforma ai piccoli centri». Tra le richieste anche l'abolizione del diritto di ”ereditarietà” per le farmacie, che rimetterebbe in gioco l'assegnazione delle convenzioni che oggi, in caso di morte del titolare, si trasferiscono agli eredi in successione. E qui sorge una discussione che risalirebbe addirittura all'epoca di Crispi e Giolitti: il primo riteneva, infatti, che la farmacia fosse un bene patrimoniale privato, del quale quindi il proprietario può disporre come meglio crede, il secondo che si trattasse di una concessione governativa ad personam e che, in quanto tale, dovrebbe tornare nella disponibilità dello Stato al termine della vita lavorativa del farmacista. Una tesi, quest'ultima, che potrebbe magari essere accettata da chi ha ottenuto la farmacia in maniera gratuita dallo Stato, ma certamente non da chi l'ha pagata milioni di euro da un privato. Per questo la missione del governo diventa particolarmente ardua. La federazione degli Ordini dei farmacisti ritiene che, per contemperare la tutela della salute degli italiani con la necessità di maggiori sbocchi per i giovani farmacisti, non serva consentire la vendita dei prodotti in una rete alternativa, ma aumentare il numero di farmacie. Ma non in maniera eccessiva, è la tesi di Federfarma che nota come, in un confronto tra gli stati, l'Italia è in perfetta media europea nel rapporto tra farmacie e numero di abitanti: una ogni 3.400 cittadini circa.
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