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Come cambia la previdenza dei medici: analisi dettagliata di tutte le novità introdotte dalla manovra categoria per categoria e i consigli su come comportarsi (seconda parte)

Previdenza Redazione DottNet | 16/01/2012 21:03

Pubblichiamo la seconda parte della guida completa sulle novità introdotte dalla riforma pensionistica, dedicata esclusivamente ai medici, sia di medicina generale che dipendenti. Il vademecum è stato curato dall’avvocato Giovanni Vezza, nostro consulente ed esperto di problemi previdenziali nonché funzionario dell’Enpam. I testo è completato dall’analisi dei vari scenari e da una serie di suggerimenti su come comportarsi per non subire eccessive penalizzazioni economiche e professionali, consigli destinati soprattutto a coloro che si trovano in una situazione contributiva intermedia.

 

2.         LA NUOVA PENSIONE DEGLI OSPEDALIERI.

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Molto più pesante, invece la situazione dei medici dipendenti, ed in specie degli ospedalieri, che nel breve volgere di una notte hanno visto in alcuni casi ritardare la propria data minima di pensionamento anche di cinque/sei anni. Come è stato giustamente rilevato, il sistema oggi in vigore è senza dubbio molto più organico e coerente, e non avrebbe (fatte salve novità normative che non possono mai essere completamente escluse) più bisogno di alcuna manutenzione normativa. Cerchiamo di esaminare le principali innovazioni, confrontandole con il precedente regime.

Passaggio al sistema contributivo. Prima della riforma, chi aveva maturato più di 18 anni di contributi alla data del 31 dicembre 1995, qualunque fosse stata la sua data di pensionamento, maturava il diritto al calcolo con il sistema retributivo integrale (ultimi 10 anni di stipendio come base di calcolo). Ora invece tutti gli iscritti attivi vedranno comunque calcolata la quota di pensione riferita ai periodi successivi al 1° gennaio 2012 con il meno favorevole sistema contributivo.

Pensione di vecchiaia. Prima della riforma, a partire dal 2012, l’età per accedere alla pensione di vecchiaia era di 65 anni sia per gli uomini sia per le donne (con almeno 20 anni di contributi nel sistema retributivo), con l’aggiunta di un ulteriore anno della cosiddetta finestra mobile. In realtà, in questo ambito, per ora, non è cambiato nulla, perché, grazie all’inglobamento della finestra mobile all’interno dei requisiti, nel 2012 l’età di pensionamento è fissata a 66 anni. Tuttavia, in conseguenza dell’aggancio dei requisiti all’aspettativa di vita, questo requisito non resterà stabile a lungo: già dal 2013 passerà a 66 anni e 3 mesi, e verrà poi adeguato con cadenza biennale sulla base dei dati Istat. Nel 2021 l’età per il pensionamento di vecchiaia non potrà essere comunque inferiore a 67 anni. Per il principio generale dei diritti acquisiti, si salvano tutti coloro che avevano già conseguito il requisito previsto dalla previgente normativa entro il 31 dicembre 2011, e cioè gli uomini che avevano già compiuto i 65 anni e soprattutto le donne che ne avevano già compiuti 61, ferma restando l’applicazione della finestra di 12 mesi.

Pensione di anzianità. In realtà adesso si chiama pensione anticipata e sono proprio da qui che provengono le note più dolenti. Secondo la disciplina vigente prima della riforma Fornero (e cioè sostanzialmente per la legge 247/2007) la pensione di anzianità poteva essere raggiunta con due canali:

-           con la cosiddetta “quota”, cioè la somma di età anagrafica ed anzianità contributiva. Questo valore nel 2011 e 2012 era stato fissato a 96, con un’età anagrafica minima di 60 anni. In buona sostanza, a 60 anni di età con 36 anni di contributi (ma anche a 61 anni con 35 di contributi) si raggiungevano i requisiti e si attendeva l’apertura della finestra mobile di 12 mesi, pensionandosi quindi magari a 61 anni di età;

-           con il requisito unico dei 40 anni di anzianità contributiva. In questo modo, ad esempio, i medici che avevano riscattato la laurea e la specializzazione ed avevano iniziato presto a versare i contributi potevano aspirare a raggiungere il requisito a 59 anni, con una decorrenza della pensione a circa 60 anni per effetto della finestra.

La riforma ha modificato in profondità questo sistema, cancellando la possibilità di andare in pensione con il sistema delle quote e introducendo appunto la cosiddetta pensione anticipata, che consente di andare a riposo prima dell’età di vecchiaia soltanto se si superano i 42 anni e 1 mese di contributi per gli uomini (quindi, nei casi ipotizzati, non prima dei 61 anni e 1 mese) e di 41 anni e un mese per le donne. Anche in questi casi, però, i requisiti sono agganciati all’aumento dell’aspettativa di vita e sono quindi destinati ad incrementarsi ulteriormente nel tempo.

Ma non finisce qui: infatti per chi sceglie il pensionamento anticipato in età antecedente ai 62 anni sono previste delle penalizzazioni. In sostanza, se una parte della pensione è calcolata con il sistema retributivo, su tale quota è applicata una riduzione pari ad 1 punto percentuale per ogni anno di anticipo della decorrenza della pensione rispetto ai 62 anni per i primi due anni di anticipo; se gli anni di anticipo sono più di due, la riduzione passa a 2 punti percentuali per ogni anno. Quindi, ad esempio, se si riesce ad andare in pensione a 58 anni, la penalizzazione sulla quota al retributivo sarà pari al 6% (1+1+2+2). Va infine detto che per chi è interamente nel sistema contributivo (lavoratori attivi dal 1° gennaio 1996) la pensione anticipata può essere conseguita anche all’età di 63 anni: devono però essere stati versati almeno 20 anni di contribuzione effettiva e l’ammontare mensile della pensione deve essere almeno pari a 2,8 volte l’assegno sociale (oggi circa € 1.200 al mese).

 

Lavori usuranti. Per coloro che li svolgono, la legge riconosce la possibilità di accedere alla pensione con requisiti meno rigorosi rispetto a quelli ordinari. La disciplina, anche in questo caso, è cambiata in pochi mesi in modo assai significativo; il riconoscimento previdenziale era infatti contenuto nel Decreto Legislativo 67/2011, ma poi è arrivata la Riforma Fornero. Con riferimento ai medici, rientrano nella categoria i professionisti che hanno svolto (per almeno 7 degli ultimi 10 anni e, a partire dal 2018, per almeno metà della vita lavorativa) lavoro notturno per almeno 6 ore e per almeno 64 notti all’anno (che diventano 78 dal 1° gennaio 2008). Con le norme in vigore, chi ha svolto attività usuranti può andare in pensione anticipata con le vecchie quote della pensione di anzianità (abrogate per tutti gli altri lavoratori). Quindi, per il 2012 occorrerà quota 96 (almeno 60 anni di età e 36 di contributi), mentre per il 2013 e gli anni seguenti ci vorrà quota 97 (almeno 61 anni di età e 36 di contributi). Ancora più alte le quote previste per coloro che hanno lavorato di notte meno di 78 volte all’anno e più di 64, mentre per tutti i lavoratori usuranti restano in vigore le finestre mobili di 12 mesi, che elevano di un anno l’età effettiva di pensionamento.

 

Regime transitorio. Come si è detto si salvano dalla stretta coloro che avevano maturato i vecchi requisiti alla data del 31 dicembre 2011. Inoltre, ci sono alcune eccezioni significative, che cercano di rimediare ad alcune distorsioni evidenti:

-           gli uomini e le donne nati nel 1952 possono pensionarsi a 64 anni di età se nel 2012 arrivano ai 35 anni di contributi;

-           le sole donne che nel 2012 hanno almeno 60 anni di età e 20 anni di contributi possono accedere al pensionamento sempre a 64 anni di età.

Inoltre, ma soltanto fino al 2015, potranno andare in pensione a 57 anni le professioniste donne che hanno optato per il sistema contributivo, a condizione che abbiano maturato almeno 35 anni di contributi.

 

I rischi del sistema. Con la manovra, di fatto, ci saranno per tutti 6 anni di lavoro in più e quindi (allungamento della vita permettendo) 6 anni di pensione in meno. Il giovane medico che non procede al riscatto dovrà certamente lavorare fino a 70 anni, ed il pensionamento di anzianità tenderà a scomparire. Inoltre l’aumento dell’età pensionabile per i medici determinerà fatalmente disoccupazione giovanile, perché i posti sono strettamente legati alla disponibilità delle strutture. Senza contare che il lavoro del medico ospedaliero è molto delicato e dopo una certa età certamente vengono meno riflessi e lucidità, tanto da rendere quasi pericolosa un’operazione condotta da un chirurgo quasi settantenne. Si tratta dell’età prevista all’art. 7, comma 1 del Regolamento del Fondo.

L’innalzamento dell’età richiesta per il pensionamento di vecchiaia è una delle leve generalmente più utilizzate per la stabilizzazione delle gestioni previdenziali, come dimostra anche la recente manovra statale che porta – a regime – tale età a 67 anni. L’ulteriore lieve incremento proposto dall’Enpam è da un lato giustificato dal diverso momento di ingresso dei medici nel mondo del lavoro (generalmente posticipato rispetto alle altre categorie), che tra l’altro determina una maggior propensione a proseguire il rapporto fino a tarda età, e dall’altro controbilanciato dall’ampia flessibilità mantenuta per il pensionamento di anzianità (ancora possibile a 58 anni con 35 anni di contributi e a 40 anni di contribuzione con qualunque età).

L’elevazione graduale adottata, di sei mesi per ogni anno solare, è stata concepita per evitare, nei confronti degli interessati, uno spiacevole effetto rincorsa: in questo modo, infatti, la maggior parte degli iscritti che attualmente si trovano in questa specifica fascia d’età potrà, anche nel periodo transitorio, conseguire i requisiti per il pensionamento senza dover necessariamente raggiungere i 68 anni.

Alla nuova età di vecchiaia saranno armonizzate anche le prestazioni previdenziali accessorie (pensioni differite, indennità di restituzione dei contributi, prestazioni per invalidità temporanea); un beneficio ulteriore si otterrà con l’allungamento del periodo per l’ammortamento dei riscatti a fini previdenziali, che oggi (fatta eccezione per l’allineamento contributivo) è possibile solo fino a 65 anni.

 

9.         mantenimento della pensione di anzianità

Il mantenimento della pensione di anzianità al raggiungimento dei 58 anni di età e 35 anni di contribuzione e 30 anni dalla laurea, ovvero al raggiungimento dei 40 anni di anzianità contributiva con qualunque età anagrafica e 30 anni dalla laurea, con l’applicazione dall’1.1.2013 di coefficienti di adeguamento all’aspettativa di vita per anticipo della prestazione rispetto al requisito di vecchiaia vigente nell’anno, come determinati su base attuariale.  I coefficienti di adeguamento in parola sono previsti all’art. 7, comma 9, primo periodo, del Regolamento, laddove è riportato che ove l’iscritto maturi i requisiti necessari per l’ottenimento del trattamento ordinario ad una età inferiore rispetto a quella prevista per la pensione di vecchiaia, la pensione viene ridotta in base al coefficiente di cui alla specifica tabella, previsto per il mese di decorrenza della pensione. La rideterminazione dei coefficienti di adeguamento in base ad un’aspettativa di vita più aggiornata rappresenta il necessario contrappeso del mantenimento di un’ampia flessibilità in uscita per i pensionamenti di anzianità. Solo con coefficienti aggiornati, infatti, il costo attuariale dell’anticipo della prestazione viene correttamente compensato in modo da garantire l’equilibrio della gestione. Va altresì precisato che i valori dovranno essere periodicamente aggiornati in funzione delle variazioni dell’aspettativa di vita, e che i coefficienti oggi proposti (scientificamente determinati dall’attuario di fiducia della Fondazione) sono solo lievemente peggiorativi rispetto a quelli attualmente in vigore.

 

10.       dall’1.1.2013, per coloro che a detta data hanno almeno 50 anni di età, calcolo della retribuzione media annua base, utile ai fini del calcolo della pensione, sui compensi percepiti dall’iscritto, rivalutati dall’1.1.2013 in base al 75% (in luogo dell’attuale 100%) dell’incremento percentuale dell’indice ISTAT (nel rispetto del principio del PRO-RATA);

 

L’intervento riguarda l’art. 7, comma 4, lettera b) del Regolamento del Fondo, laddove viene previsto che, ai fini del calcolo della prestazione dovuta, dopo aver ricostruito il compenso di ciascun anno dai contributi versati e dalle aliquote contributive tempo per tempo vigenti, ai fini della determinazione della base pensionabile si procede a fare una media di tali compensi annui, opportunamente rivalutati. Proprio a proposito di tale rivalutazione, testualmente si dispone che si rivaluta il compenso di ciascun anno come sopra ottenuto in base all’incremento percentuale – calcolato sino alla seconda cifra decimale – registrato dall’indice dei “prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati” elaborato dall’Istituto Centrale di Statistica tra l’anno cui si riferiscono i contributi stessi e quello che precede l’anno di decorrenza della pensione.

La modifica, in sostanza, lascia invariato l’attuale sistema (rivalutazione al 100% dell’indice Istat) esclusivamente per coloro che al 1° gennaio 2013 abbiano meno di 50 anni di età, cioè per gli iscritti nati dal 2 gennaio 1963 in poi; per gli iscritti più anziani, invece, a partire dal 2013, i redditi saranno rivalutati al 75% di detto indice. La diversificazione della rivalutazione consente di introdurre un meccanismo premiante in favore degli iscritti più giovani, che rappresentano la categoria maggiormente penalizzata dalla riforma, con rendimenti meno elevati a fronte di un prelievo contributivo via via più consistente; d’altra parte, la riduzione del 25% dell’indicizzazione dei redditi, applicandosi solo sulle annualità future, concretizza una spiccata gradualità, che di fatto consentirà una progressiva armonizzazione fra le prestazioni degli infracinquantenni e degli ultracinquantenni.

A titolo informativo, va inoltre ricordato che la rivalutazione dei compensi al 75% dell’indice Istat non costituisce una novità assoluta per i Fondi Enpam, essendo già da tempo applicata presso la “Quota A” del Fondo di previdenza generale e presso il Fondo della libera professione, oltre che presso il Fondo Specialisti esterni, per la quota eccedente una certa soglia di reddito.

 

11.       dall’1.1.2013 applicazione di una maggiorazione del 20% dell’aliquota di rendimento pro-tempore vigente, per ogni anno di permanenza in attività oltre l’età di vecchiaia, in luogo dell’attuale 100%.

 

La nuova disposizione viene a modificare l’art. 7, comma 9, secondo periodo del Regolamento del Fondo, laddove è attualmente previsto che ove l’iscritto maturi i requisiti per il trattamento ordinario ad una età superiore a 65 anni, le aliquote di rendimento annuo relative agli anni di contribuzione successivi al 65° anno di età e fino e non oltre il 70° anno di età corrispondenti ad attività effettuata o allineata dopo il 1° agosto 2006, si applicano in misura doppia.

In buona sostanza, le attuali maggiorazioni previste per gli attuali ultrasessantacinquenni si riducono dal 100% al 20%; tale riduzione è motivata dal fatto che già da tempo tali maggiorazioni, pur aumentando notevolmente il costo delle prestazioni e costituendo quindi un elemento di squilibrio del sistema, non rappresentano un reale incentivo alla permanenza in servizio, dato il costante aumento dei pensionamenti di anzianità. Il progressivo incremento dell’età di pensionamento di vecchiaia, che passerà a regime da 65 a 68 anni, le renderà inoltre sempre meno influenti sull’importo finale della prestazione. Per converso, al fine di contenere un ulteriore contrazione dell’età media di pensionamento, si è ritenuto di mantenere un sia pur limitato meccanismo premiale, nella misura massima sostenibile dal sistema.

 

Occorre a questo punto però focalizzare l’attenzione sul significativo elemento di novità, rappresentato dal Decreto-Legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, come pubblicato nel Supplemento Ordinario n. 276/L alla Gazzetta Ufficiale n. 300 del 27.12.2011, recante Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici, che al comma 24 dell’art. 24 testualmente prevede:

In considerazione dell’esigenza di assicurare l’equilibrio finanziario delle rispettive gestioni in conformità alle disposizioni di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, e al decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, gli enti e le forme gestorie di cui ai predetti decreti adottano, nell’esercizio della loro autonomia gestionale, entro e non oltre il 30 giugno 2012, misure volte ad assicurare l’equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche secondo bilanci tecnici riferiti ad un arco temporale di cinquanta anni. Le delibere in materia sono sottoposte all’approvazione dei Ministeri vigilanti secondo le disposizioni di cui ai predetti decreti; essi si esprimono in modo definitivo entro trenta giorni dalla ricezione di tali delibere. Decorso il termine del 30 giugno 2012 senza l’adozione dei previsti provvedimenti, ovvero nel caso di parere negativo dei Ministeri vigilanti, si applicano, con decorrenza dal 1° gennaio 2012: a) le disposizioni di cui al comma 1 del presente articolo sull’applicazione del pro-rata agli iscritti alle relative gestioni; b) un contributo di solidarietà, per gli anni 2012 e 2013, a carico dei pensionati nella misura dell’1 per cento.

L’elemento più pesante della nuova disciplina è rappresentato dal fatto che dalla dizione letterale della norma, peraltro confermata dai contatti informali intercorsi con i tecnici del Ministero del Lavoro, la stabilità delle gestioni sembrerebbe valutabile esclusivamente sulla base del saldo previdenziale (differenza fra entrate contributive ed uscite per prestazioni), senza tenere conto in alcun modo dei rendimenti e del valore delle riserve patrimoniali.

Va peraltro rilevato che il testo del comma in questione, come innovato (su iniziativa dell’Adepp) dal maxiemendamento governativo in sede di conversione del citato decreto legge, è stato modificato nel senso di concedere alle casse di previdenza private ulteriori 90 giorni per la deliberazione degli interventi prescritti: in buona sostanza, quindi, le misure di riequilibrio dovranno essere adottate entro e non oltre il 30 giugno 2012. Alla Camera dei Deputati è stato inoltre accolto dal governo l’ordine del giorno alla manovra, che consentirà di tenere conto dell’andamento tendenziale nell’assicurare saldi positivi a 50 anni; in questo ambito, l’Esecutivo ha però manifestato la propria contrarietà a prendere in considerazione il valore del patrimonio mobiliare ed immobiliare all’interno del calcolo volto a dimostrare la presenza dell’equilibrio prescritto, espungendo dall’ordine del giorno il passaggio che espressamente prevedeva tale possibilità. (fine)

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