Uno studio clinico italiano dimostra che l'impiego di Zevalin* ad alte dosi con infusione di cellule staminali determina l'87% di sopravvivenza globale nel trattamento del linfoma non-Hodgkin (Nhl) recidivato-refrattario o ad alto rischio. Lo ha annunciato oggi in un comunicato Cell Therapeutics Inc. (Cti), riferendo che i risultati dello studio sono stati pubblicati sul 'Journal of Clinical Oncology'.
Il trial clinico innovativo, il cui protocollo è stato messo a punto dai ricercatori dell'Istituto tumori di Milano, ha valutato l'impiego di Zevalin* ([90Y]-ibritumomab tiuxetan) ad alte dosi (ablazione del midollo osseo), seguito da infusione di cellule staminali autologhe, in 30 pazienti con età media di 62 anni, affetti da linfoma non-Hodgkin (Nhl) aggressivo recidivato-refrattario o ad alto rischio, non candidabili a un trapianto con impiego di chemioterapia.
La chemioterapia mieloablativa ad alte dosi - si legge nella nota - rappresenta un trattamento efficace del Nhl, ma a causa della significativa tossicità è generalmente riservata a pazienti giovani e in condizioni cliniche idonee, e pertanto non è utilizzabile per molti pazienti, dato che l'età media dei pazienti affetti da Nhl è di circa 60 anni. Lo studio prevedeva tre cicli di chemioterapia convenzionale seguiti da chemioterapia ad alte dosi e infusione di cellule staminali, proseguendo con l'impiego di Zevalin* ad una dose fino a tre volte superiore alla dose standard, con infusione addizionale di cellule staminali. Dopo questo protocollo terapeutico, l'83% dei pazienti è risultato libero da malattia con una sopravvivenza globale stimata dell'87% dopo un follow-up medio di 30 mesi.
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