Dopo la Puglia, anche il Piemonte mostra segni di agitazione nei confronti della ricette elettronica. Incomprensioni tra regioni e medici, criticità del sistema non fanno altro che acuire un’insofferenza non nei confronti dell’innovazione, sia chiaro, ma contro i costi – in termini umani e economici – che questa rivoluzione, nata con l’obiettivo di ridurre gli esborsi della sanità, rappresenta. Il piano d’azione sull’E-health (clicca qui per scaricare il report sulla sanità elettronica di Dottnet) messo a punto dalla Commissione europea mira proprio a contenere la spesa sanitaria nei singoli paesi.
In Italia, con la conversione in legge del decreto Crescita 2.0, è stato tracciato un percorso che potrebbe rappresentare una leva di straordinaria efficacia per semplificare e migliorare i servizi offerti ai cittadini e, al contempo, aprire nuovi spazi di mercato alle imprese innovative. “In campo sanitario l’Agenda digitale può produrre una vera rivoluzione - spiegano da Federsanità Anci - Dalla ricetta elettronica alla gestione di un’anagrafe sanitaria nazionale, si eliminerebbero in via definitiva lentezze e sacche di inefficienza, consentendo ad esempio l’aggiornamento in tempo reale delle nascite, dei decessi e dei cambi di residenza e velocizzando tutte le procedure dei rapporti tra le realtà sanitarie e la PA”. Ma allora che cosa succede nelle regioni e perché questi scontri? In primo luogo un ruolo importante, in negativo, lo ricopre la frammentazione dei sistemi contabili che impedisce un monitoraggio efficace della spesa delle Regioni e delle Asl. In Italia 240 Asl hanno piattaforme diverse per software e codifica che di fatto non consentono un efficace controllo della spesa. Le uniche due regioni che hanno unificato i sistemi sono Toscana e Umbria che tra l’altro sono quelle più avanzate nel settore della sanità elettronica. Altre regioni, come Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana e Trento hanno già realizzato il fascicolo digitale, altre nulla ancora. Insomma tanta precarietà non fa altro che acuire gli scontri interni alle regioni, che vanno poi a scaricarsi sui medici, come accaduto in Puglia e adesso in Piemonte. Occorre allora che le piattaforme si parlino tra loro per far sì che tutto diventi più facile. E soprattutto a nessun costo per i medici che sono in trincea e che alla fine ne pagano le conseguenze.
La protesta Snami. Ennesimo tentativo di far pagare ai Medici di famiglia gli oneri di un servizio che è a totale carico della regione, denuncia lo Snami.
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Fonte: interna, Snami
Cgil, Cisl e Uil: "Sono 200mila, è un comparto strategico"
"I medici, i dirigenti sanitari, gli infermieri le professioni sanitarie ex legge 43/2006, vogliono risposte, vogliono tornare ad essere il fulcro delle cure, vogliono continuare a curare, ma in sicurezza”
Testa: “Serve uno straordinario investimento nel territorio prima che della medicina di famiglia rimangano solo le ceneri.”
Leonida Iannantuoni Presidente di ASSIMEFAC; al paziente va dedicato più tempo
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