La personalizzazione delle terapie cambia l’attività regolatoria. In passato l’industria ha puntato sui farmaci blockbuster, capaci di avere enormi fatturati che controbilanciavano i costi elevati sostenuti per la ricerca e lo sviluppo, e i lunghi tempi di attesa per la commercializzazione.
Oggi però la scienza evolve verso una personalizzazione delle terapie. I pazienti di una certa patologia vengono ulteriormente suddivisi in fasce, secondo le specificità che la accompagnano: allora esistono vari gruppi di pazienti diabetici o di pazienti oncologici, da trattare non più con un unico farmaco, bensì con farmaci diversi. Questo limita i singoli fatturati. Perciò si rende necessario modificare l’impianto delle attività regolatorie, come ha sottolineato Guido Rasi (direttore esecutivo Ema) nella lezione magistrale tenuta la scorsa settimana al policlinico Gemelli di Roma, sul tema “Innovazione e Regolazione del Settore Farmaceutico Europeo: la sfida dell’European Medicines Agency” nell’ambito dei programmi formativi Altems. Rasi ha rassicurato sulla ripresa della ricerca farmaceutica (dopo alcuni anni di stasi il numero delle nuove molecole è nuovamente in linea con quello del 2006) e ha illustrato i buoni risultati della collaborazione gratuita che l’EMA fornisce alle piccole e medie industrie, spesso nazionali, che hanno idee buone ma poca dimestichezza con quel metodo regolatorio, complicato e costoso, cui è abituata BigPharma. E’ necessario valutare insieme all’efficacia di un farmaco anche la “effectiveness”, cioè la sua efficacia comparata a quella di altri farmaci analoghi. Non bisognerebbe più parlare di costo della terapia ma di costo per risultato ottenuto. Importante anche il coinvolgimento del paziente, che deve “imparare” a fare il paziente: dal confronto tra la percezione dei pazienti che sono stati danneggiati dalla talidomide e di quelli che ne hanno tratto giovamento sono nate indicazioni utili anche al processo regolatorio. Dire che la percezione positiva da parte del paziente aiuta la terapia non significa però aprire le porte alle staminali - ha chiarito Rasi - una vicenda in cui purtroppo l’emotività ha preso il sopravvento sulla scientificità, responsabili in gran parte i mass media. La copertura brevettuale, ha affermato Rasi precisando che non è tema di competenza dell’Ema, è certamente un argomento che andrà presto rivisto e affrontato a livello mondiale, considerata anche la recente sentenza indiana.
Non e' una sentenza che mette a rischio l'industria farmaceutica mondiale, che nel 2013 dovrebbe avere abbastanza nuove molecole in arrivo da compensare i danni dovuti all'introduzione dei generici, ma potrebbe quantomeno tenerla alla larga dall'India.
La guerra tra Big Pharma e i produttori di farmaci generici indiani non ha fatto in tempo a registrare una vittoria a favore dei secondi, con il mancato riconoscimento del brevetto dell'antitumorale Glivec, che gia' un'altra battaglia legale si profila all'orizzonte. Stavolta e' l'azienda statunitense Merck ad essersi appellata alla Corte Suprema di New Delhi per far ritirare dal commercio due generici dei propri farmaci antidiabete, Januvia e Janumet, prodotti, secondo la multinazionale, nonostante il principio attivo sia ancora coperto da brevetto. I due farmaci, riporta il Times of India, sono stati lanciati nel paese nel 2008, e sono gia' fra le molecole piu' vendute, con una platea potenziale di 65 milioni di pazienti. Il produttore locale Glenmark ha sfruttato, per iniziare la commercializzazione dei generici, un cavillo della legge indiana: secondo il Drugs and Cosmetics Act of India, le autorita' regolatorie possono dare il via libera all'immissione anche di farmaci il cui brevetto e' ancora in vigore (quello di Januvia e Janumet scadrebbe nel 2017), a patto che siano sul mercato da almeno quattro anni. Gli equivalenti, Zita e Zita Met, ovviamente hanno un costo inferiore, in questo caso del 20%: ''Siamo convinti che i nostri brevetti su Januvia e Janumet siano validi ed esigibili - ha affermato al quotidiano un portavoce di Merck - e siamo delusi della decisione di Glenmark che infrange direttamente la nostra proprieta' intellettuale''. Non e' la prima volta che in India la clausola viene usata, e puntualmente contestata. Cipla e Natco Pharma, altri due produttori di generici, hanno provato a lanciare due antitumorali prima della scadenza appellandosi proprio al fatto che erano sul mercato da piu' di quattro anni. Natco ha dovuto pero' desistere dalla produzione del Dasatanib dopo il ricorso della multinazionale Bms, mentre l'appello della Bayer contro Cipla sul Nexaware e' ancora in discussione. La nuova azione legale arriva pochi giorni dopo la sentenza della Corte che ha negato il brevetto al Glivec, un antitumorale prodotto da Novartis, provocando le ire della compagnia che ha minacciato di interrompere gli investimenti nel paese. Toni simili sono stati usati anche da Merck: ''La protezione della proprieta' intellettuale - scrive l'azienda sul suo sito - e' fondamentale perche' continuiamo ad assumerci i rischi associati alla scoperta di farmaci innovativi''. E' abbastanza improbabile pero' che le multinazionali rinuncino al mercato indiano, che secondo alcune stime diventera' l'ottavo al mondo entro il 2016 e gia' ora vale 13 miliardi di dollari l'anno.
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Fonte: Novartis
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