La sentenza della Consulta dello scorso 3 luglio che ha decretato l’illegittimità costituzionale dell’impignorabilità dei beni delle Aziende sanitarie potrebbe sbloccare 2 miliardi di euro di crediti vantati dalle imprese.
Lo afferma Assobiomedica, l'associazione delle aziende produttrici di dispositivi sanitari, in un comunicato. Secondo la sentenza quindi i beni delle Asl potranno essere pignorati in caso di morosità. ''Ammontano a più di 2 miliardi di euro - ha dichiarato Stefano Rimondi, presidente dell'associazione - i crediti vantati dalle imprese associate ad Assobiomedica nelle regioni commissariate, che dal 2010 sono soggette a impignorabilità. Su 5 miliardi di crediti in sospeso, quasi la metà erano blindati dal blocco dei pignoramenti, garantendo alla pubblica amministrazione il privilegio di non pagare i propri debiti, causando così una gravissima crisi finanziaria per tutte le aziende del settore biomedicale''. Il blocco dei pignoramenti era stato deciso nel 2010, e prorogato diverse volte, con l'ultima proroga che sarebbe scaduta il prossimo 31 dicembre.
Cade, così, lo scudo per i beni di Asl e ospedali, che tornano ad essere pignorabili. Via libera, quindi, ai creditori che ora potranno avviare azioni legali contro i patrimoni e i conti correnti delle aziende sanitarie e ospedaliere. Un tesoro miliardario che spesso ha messo in difficoltà le aziende del comparto sanitario, molte delle quali sono state costrette a chiudere i battenti. La rivoluzione è stata innescata dalla sentenza 186 della Corte Costituzionale che ha bocciato una norma nazionale (la legge di stabilità del 2011, a cui hanno fatto seguito i decreti legge 98/2011 e 158/2012): «Il legislatore statale - osservano i giudici - ha creato una fattispecie di ius singulare che determina lo sbilanciamento tra le due posizioni in gioco, esentando quella pubblica, di cui lo Stato risponde economicamente, dagli effetti pregiudizievoli della condanna giudiziaria, con violazione del principio della parità delle parti».
La risposta della Fiaso: "Le Aziende Sanitarie Pubbliche stanno profondendo tutto il loro impegno per rispettare il diritto al pagamento dei debiti verso i fornitori, diritto che giudichiamo inalienabile. La recente sentenza della Corte Costituzionale che di fatto rende nuovamente pignorabili i beni di ASL e AO può rischiare tuttavia di ledere un diritto altrettanto inalienabile che è quello alla salute dei cittadini. ASL e AO non possono essere considerate alla stregua di qualsiasi altra azienda perché pignorare i loro beni significa rischiare di rendere indisponibili apparecchiature e servizi sanitari indispensabili proprio alla tutela della salute”. Valerio Fabio Alberti, presidente della Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere dopo la sentenza della Corte sulla pignorabilità delle ASL non ha dubbi: “Il recente decreto sul saldo dei debiti della PA – ha aggiunto - va giustamente incontro ai legittimi diritti di tante aziende fornitrici ma nella sanità il problema andrà aggredito anche alla fonte poiché una parte non indifferente dei debiti accumulatisi dipende dalla irregolarità dei flussi di cassa dallo Stato centrale alle Regioni e da queste alla Aziende, che accusano da anni crisi di liquidità”. “Ed è forse bene ricordare – conclude Alberti - che le Aziende Sanitarie pubbliche pagano due volte le difficoltà a saldare i propri fornitori: la prima con gli interessi sul debito, la seconda con i prezzi più alti delle forniture con le quali le imprese scontano i ritardati pagamenti".
I dati sui fallimenti:Tra il 2008 ed il 2012 sono più che raddoppiati (+114%) i fallimenti delle imprese vittime dei ritardi o dei mancati pagamenti da parte dei committenti pubblici e privati. Per la Cgia di Mestre il debito della Pa nei confronti delle imprese è di circa 120 miliardi. A darne conto è il segretario Cgia, Giuseppe Bortolussi, che ha stimato questo importo partendo dal dato, diffuso a marzo dalla Banca d'Italia, che indicava l'ammontare di questo debiti pari 91 miliardi di euro. "Si tratta di una foto scattata il 31 dicembre 2011 - spiega - che non tiene conto delle aziende con meno di 20 addetti (il 98% del totale). Inoltre non sono coinvolte le imprese che operano nella sanità e dei servizi sociali. Alla luce di questi elementi, riteniamo che l'ammontare dei debiti scaduti stimato dalla Banca d'Italia sia sottodimensionato di circa 30 mld". I dati di Bankitalia, pur nel rigore scientifico della stima, andrebbero quindi aggiornati. Bortolussi riconosce anche l'impegno messo nella soluzione del problema dagli ultimi esecutivi, ma non manca di fare pressing. "Sarebbe ingeneroso prendersela con chi ci governa - afferma -. Il mancato pagamento dei debiti è un problema che parte da lontano. Anzi, dobbiamo ringraziare il Governo Monti e quello di Letta per aver messo al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica questa anomalia tutta italiana. Tuttavia, bisogna accelerare i tempi di pagamento, altrimenti con soli 20 mld di euro a disposizione annui, questi 120 mld di debito saranno onorati non prima del 2018". L'importanza di un intervento è chiara se si analizzano gli effetti economici dei mancati pagamenti. Secondo la Cgia dall'inizio della crisi alla fine del 2012 sono fallite per mancati pagamenti oltre 15.000 imprese. In questo caso i dati vengono da alcune osservazioni di Intrum Justitia, società specializzata nella gestione dei crediti, secondo la quale, il 25% delle imprese fallite in Europa chiude a causa dei ritardi dei pagamenti. Tenendo presente che l'Italia è maglia nera in Europa per quanto concerne la mancata regolarità dei pagamenti tra la Pa e le imprese nonché nelle transazioni commerciali tra le imprese, la Cgia stima che tra il 2008 ed il 2010 questa incidenza abbia raggiunto la soglia del 30%, per salire al 31% nel biennio 2011-2012. Pertanto, a fronte di oltre 52.500 fallimenti nel lustro preso in esame, la Cgia stima che 15.100 chiusure aziendali siano addebitabili ai ritardi nei pagamenti. La Cgia registra anche qualche miglioramento. Pur continuando ad essere il peggior pagatore d'Europa, in questi primi mesi del 2013 lo Stato italiano e le sue Autonomie locali hanno ridotto di 10 giorni i tempi di pagamento verso i propri fornitori. Se nel 2012 le fatture venivano saldate mediamente dopo 180 giorni, quest'anno, stando all'elaborazione Cgia su dati di Intrum Justitia, i fornitori devono attendere 10 giorni in meno, cioè 170. Solo la Grecia, che nella graduatoria generale è al penultimo posto, ha fatto meglio di noi: per l'anno in corso ha accorciato i tempi di pagamento di 15 giorni. Si tratta per l'Italia di una inversione di tendenza importante - spiega la Cgia - ma non ancora sufficiente.
Farmindustria.“Una buona notizia. Finalmente è stata riconosciuta un’ingiustizia nei confronti delle imprese e questo ci lascia estremamente soddisfatti. Soprattutto perché ancora una volta abbiamo dimostrato la bontà della Costituzione italiana”. Così il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi (nella foto), commenta la sentenza della Consulta che ha dichiarato costituzionalmente illegittima l’impignorabilità dei beni delle Asl delle Regioni in rosso. Per le aziende farmaceutiche, “che vantano nei confronti delle strutture sanitarie pubbliche crediti pari a 4 miliardi di euro, a fronte di un fatturato (sempre nella Pa) di 12 miliardi di euro – ricorda Scaccabarozzi – spero questo possa essere un primo segnale per uno sblocco più concreto della situazione”. Il decreto per il pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione emanato dal Governo Monti, non ha infatti dato, finora, i risultati sperati: “Qualche piccolo pagamento in qualche piccola Regione è partito – evidenzia il presidente di Farmindustria – però la ‘massa’ dei debiti è ancora lì”.
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Fonte: Aifa, federfarma, farmindustria
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