Un periodo di precariato più lungo dei colleghi maschi, una maggiore difficoltà a trovare un lavoro stabile e tanti ostacoli per fare carriera. Sono questi alcuni dei dati più significativi dello studio che il Comitato Unico di Garanzia dell’Ordine dei Medici di Napoli e provincia ha scelto di realizzare per individuare il livello del benessere lavorativo dei medici e degli odontoiatri, quelli che sono punti di forza e punti di debolezza, così da intervenire suggerendo possibili e sostenibili azioni migliorative.
«Questo studio è stato realizzato per offrire una foto di quella che, con un gioco di parole, può essere definita la salute della medicina campana». Spiega la dottoressa Sandra Frojo, coordinatrice del Comitato Unico di Garanzia dell’Ordine dei Medici di Napoli. «Si prende certamente in considerazione la questione delle donne, della discriminazione reale o percepita. Ma si va ben oltre. Analizziamo ad esempio l’aspetto del “come” si possa giungere ad un significativo cambio di passo, puntando ad una riorganizzazione del sistema che porti gli operatori ad operare nelle condizioni possibili. Insomma, un’indagine a due facce per cercare di analizzare un mondo unico ma anche molto complesso».
Lo studio analizza «le nuove forme del fare Medicina, in un’epoca e in un Paese che da un passato di grande tradizione si trova oggi al centro di ineluttabili cambiamenti. La contrazione delle risorse, una visione economicistica che impoverisce l’efficacia terapeutica e talvolta gli esiti, la progressiva perdita di autorevolezza dei protagonisti, la distanza tra curanti e curati, come pure tra operatori e rappresentanti nelle organizzazioni e federazioni, e, ultimo ma non ultimo, la preponderanza del numero di donne che scelgono la professione medica, quasi a significare un cambio di passo, occhi e cuore di una differenza che, forse, può fare la differenza».
Celeste Condorelli (Clinica Mediterranea) chiarisce che «questi dati rispecchiano una realtà che si estende ben oltre il comparto della Sanità. Ai “gradini più bassi” si nota sempre una preponderanza di donne, che ottengono risultati eccellenti. Poi però nelle posizioni apicali le cose cambiano. Le donne sembrano essere in qualche modo marginalizzate. Anche se negli ultimi 20 anni passi in avanti ce ne sono stati, questo resta un tema da affrontare e da comprendere, ed è chiaro che ad incidere c’è una forte componente sociale e culturale».
Sulla stessa linea il commento della professoressa Carolina Ciacci. «Non si tratta di discriminazione nell’attività lavorativa in genere ma nei ruoli apicali, differenza transgenerazionale. Non è cambiato nulla e questo fa riflette molto. Altro aspetto è la condizione delle giovani dottoresse che al di sotto dei 40 anni hanno figli solo di rado, le donne sono costrette a rinunciare alla maternità ma soprattutto vorrebbero un posto di lavoro stabile che diventa una vera e propria chimera. Ma – conclude – non mancano gli aspetti positivi, o se vogliamo segnali di speranza. Un quinto di coloro che ha preso parte al “test” ha sentito la necessità di riempire lo spazio dedicato ad una risposta libera. Questo vuol dire che c’è molta voglia di proporre e si ha fiducia nel fatto che il sistema possa cambiare. E, nonostante tutto quello che leggiamo ogni giorno sui giornali, moltissimi medici hanno sottolineato di avere un buon rapporto con i propri pazienti».
Per il presidente dell’Ordine dei Medici, Bruno Zuccarelli: «Il benessere lavorativo non riguarda solo la qualità della vita, ma anche la performance lavorativa e la qualità stessa del lavoro. E’ evidente dunque che puntando al benessere lavorativo potremo ottenere ricadute fondamentali non solo sul singolo sanitario e sull’azienda sanitaria, ma probabilmente anche sulla società intera».
Alcuni dati :
Il 3,6% è dipendente di struttura privata contro il 2,5% degli uomini. Anche nelle capacità queste differenze si notano. Tra i partecipanti il 2,1% delle donne è dirigente di struttura complessa contro il 4,2 degli uomini, meno del 12% è responsabile di struttura semplice contro il 14% degli uomini. Invece le donne sono il doppio degli uomini sia tra i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta sia tra gli specialisti ambulatoriali. Si potrebbe, quindi, ipotizzare una maggiore soddisfazione lavorativa delle donne, probabilmente fondata su valori e aspirazioni differenti, rispetto all’universo maschile.
Queste differenze tuttavia tengono conto che dagli anni ’50 alla prima metà degli ’80 i laureati in Medicina erano in maggioranza maschi. Però tra le nuove generazioni, in cui la maggioranza dei laureati è donna, appare evidente che le donne abbiano maggiore presenza in ruoli considerati meno stabili o addirittura precari. Ad esempio il 10% delle donne è libero-professionista contro il 7% degli uomini, o ancora il 3% delle donne e solo lo 0,4% degli uomini è contrattista o borsista.
La situazione universitaria offre un quadro ancora più discriminante visto che solo tra i dottorandi le donne sono lo 0,4 % contro lo 0,2 % degli uomini (ma le donne spesso senza borsa di studio), tra i ricercatori le donne soni lo 0,8 % e gli uomini il doppio (1,8%) , le donne sono lo 0,1 % e gli uomini il 2,4% , e infine tra gli ordinari le donne sono lo 0,4% mentre gli uomini l’1,4%, cioè circa 4 volte di più.
fonte: Omceo napoli
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