Per i giudici triestini prevale l'interesse generale alla salute. Secondo le Regioni le risorse per il piano vaccini non bastano
Due famiglie si oppongono all'obbligo, deciso nei mesi scorsi dal Comune di Trieste, di vaccinare i bambini che intendono frequentare gli asili e le scuole dell'infanzia del Comune e quelle convenzionate ma l'amministrazione comunale, insieme all'Azienda sanitaria, vince davanti al Tar la propria battaglia in nome della salute pubblica. I giudici amministrativi del Friuli Venezia Giulia, nel respingere oggi il ricorso delle due famiglie contro la delibera adottata dal Comune di Trieste il 28 novembre scorso, scrivono a chiare lettere che in Italia "l'obbligo di vaccinazione non è mai stato abrogato" per antidifterica, antitetanica, antipoliomielitica e anti epatite B e che "il pur rispettabile e tutelabile interesse individuale deve regredire rispetto all'interesse pubblico, in particolare ove si tratti di tutela della salute".
Insomma, per il Tar "la potestà genitoriale non è in discussione" ma, per quanto riguarda le vaccinazioni, la legge consente ai genitori "solo una specie di obiezione di coscienza".
Tutte percentuali - ricorda l'assessore comunale all'infanzia, Angela Brandi - ben al di sotto della soglia di sicurezza individuata al 95% per quella che viene definita "l'immunità di gregge". Il Comune, insomma, è intervenuto in una situazione in progressivo mutamento e delicata "per la diminuzione della copertura vaccinale dei bambini e per l'esposizione al contatto con soggetti extracomunitari provenienti da Paesi in cui - hanno rilevato i giudici del Tar - anche malattie debellate in Europa sono ancora presenti". La loro decisione si inserisce in un quadro nel quale è cambiata anche la sensibilità degli operatori della sanità e degli amministratori pubblici, come quelli di Trieste attenti "alla salute dei propri cittadini, in una materia - è la conclusione dei giudici del Tar - in cui la razionalità scientifica e il pubblico interesse devono prevalere su facili suggestioni ed epidermiche emotività, pur nel pieno rispetto della libertà di ognuno".
Le risorse messe a disposizione "non bastano" a garantire i nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea) e le nuove vaccinazioni introdotte. A pochi giorni dalla firma del premier Paolo Gentiloni al decreto sui nuovi Lea, al quale è collegato il nuovo Piano nazionale vaccini 2016-18, le Regioni prendono posizione ed avvertono che resta, al momento, un''incognita fondi' per garantire nuove prestazioni sanitarie e vaccinazioni. Per i Lea si attende ora solo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, avvenuta la quale le nuove prestazioni e terapie garantite dal Servizio sanitario nazionale saranno in vigore.
Per il Piano vaccini, invece, l'ultimo via libera perchè diventi operativo deve giungere dalla Conferenza Stato-Regioni prevista per il 19 gennaio. Al momento, però, nonostante le attese, il Piano non è ancora inserito tra i temi all'ordine del giorno della seduta del 19, anche se potrebbe comunque essere discusso fuori sacco o introdotto all'ultimo momento. A destare la preoccupazione delle Regioni sono, dunque, le risorse sul tavolo, ritenute insufficienti: il Piano nazionale di prevenzione vaccinale 2016-2018, allegato ai Lea, è finanziato con 100 milioni di euro per il 2017, 127 milioni per il 2018 e 186 milioni per il 2019. I nuovi Lea - ovvero le prestazioni sanitarie garantite dal Servizio sanitario nazionale gratuitamente o con il pagamento di un ticket - sono finanziati complessivamente con 800 milioni. "Non nascondiamo il fatto che secondo le nostre stime le risorse previste a livello nazionale per le Regioni, 800 milioni di euro, non siano sufficienti per far partire i nuovi Le", ha affermato oggi in Consiglio regionale a Torino l'assessore alla Sanità del Piemonte, Antonio Saitta, anche coordinatore della Commissione Salute della Conferenza delle Regioni.
Tuttavia, ha sottolineato, "abbiamo dato il nostro assenso a partire per evitare ritardi a condizione che nella commissione nazionale Lea si faccia una verifica dei costi e si proceda, se necessario, con un aumento delle risorse". Anche Luca Coletto, assessore alla Sanità in Veneto ed ex coordinatore della Commissione Salute della Conferenza, ha evidenziato la criticità del 'nodo risorse: "Nel corso della Commissione Salute della Conferenza delle Regioni solleciterò il riparto del Fondo - ha spiegato - la proposta dal ministero non è ancora arrivata alle Regioni ma per poter programmare bisogna conoscere la disponibilità finanziaria: solo così si riesce a programmare con successo".
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