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British Medical Journal, sì alla morte assistita

Medicina Interna Redazione DottNet | 17/02/2018 15:27

Il Bmj si schiera contro le posizioni dell'Associazione dei Medici Inglesi (British Medical Association) di cui è rivista ufficiale

 "La stragrande maggioranza dei cittadini britannici è a favore, e ora ci sono prove che funzioni bene in altre parti del mondo". Con queste parole della direttrice Fiona Godlee, il British Medical Journal, una fra le più importanti e autorevoli riviste scientifiche nel mondo, scende in campo a favore della morte assistita. E lo fa, proprio mentre in Italia divampa il dibattito sul processo a Marco Cappato, accusato di aver accompagnato Dj Fabo a morire in Svizzera. Nel numero appena uscito pubblica infatti una serie di articoli sul tema, tra cui il racconto di una dottoressa che in dieci anni ha già aiutato 5 persone a morire e quello di una paziente malata di cancro terminale. 

  Il Bmj si schiera così contro le posizioni dell'Associazione dei Medici Inglesi (British Medical Association) di cui è rivista ufficiale e che si era in passato espressa negativamente sulla morte assistita, ovvero la fornitura, da parte del medico, di farmaci letali a un paziente con una malattia terminale, che ne abbia fatta consapevole richiesta.

Ma secondo un sondaggio condotto su 733 medici inglesi e pubblicato sulla rivista, oltre la metà ritiene che la morte assistita dovrebbe essere legalizzata in determinate circostanze. Un parere condiviso, secondo un sondaggio del 2015 anche dall'82% della cittadinanza d'Oltremanica. A mostrare i dati, un articolo firmato da Jacky Davis, radiologa e a capo del Healthcare Professionals for Assisted Dying, che sottolinea come "l'attuale disconnessione tra la politica dell'Associazione e le opinioni di medici e pazienti mina la credibilità dell'associazione stessa".

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Parole chiare, che accompagnano una serie di articoli quasi tutti a favore della morte assistita ma che non nascondono quanto sia difficile per i medici aiutare i pazienti in questa scelta. Nelle pagine della rivista trova infatti anche spazio un articolo dal titolo "Come ci si sente ad aiutare un paziente terminale a morire di una morte dignitosa". A firmarlo, Sabine Netters, la dottoressa olandese che dieci anni fa aveva raccontato la sua prima esperienza con un paziente che le aveva chiesto di aiutarlo a morire. "Sono le sei di un lunedì sera e nelle prossime due ore aiuterò qualcuno ad uccidersi": inizia così il suo articolo. Un'esperienza che le ha fatto capire, aggiunge, "che anche quando le terapie falliscono il ruolo del medico non è finito ma cambia. L'obiettivo non è più allungare la vita ma aiutare a morire meglio".

I libri di testo però, conclude Netters, "non danno alcun consiglio in merito e anni di tirocinio mi hanno lasciato impreparata". Tra le testimonianze, anche quella di un paziente malata oncologica di 51 anni. "Sono terrorizzata dal tipo di morte che potrei dover affrontare", spiega Sarah Jessiman, "non voglio andare in Svizzera né tentare il suicidio". Dalle pagine del Bmj, arriva quindi un appello ai camici bianchi inglesi, ovvero adottare "per lo meno una posizione neutrale per permettere un dibattito pubblico aperto e informato".

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