Indagine Gb, meglio un linguaggio semplice che riporti i fatti
Coraggiosi, lottatori, eroi, vittime: non chiamate così i malati di cancro, perché questi termini li fanno sentire ancora peggio. Quando si riceve una diagnosi del genere, e bisogna passare per terapie ed esami, anche le parole hanno la loro importanza. Lo rileva l'indagine condotta dall'associazione inglese Macmillan Cancer Support su circa 2mila persone, e segnalata da vari media britannici, tra cui la Bbc. Sei su 10 non vogliono essere descritti come dei combattenti, così come trovano inappropriata l'idea che stiano combattendo una battaglia, o di essere chiamati eroi. Anche la parola coraggioso non va bene, perché può far sentire il paziente sotto la pressione di dover apparire positivo. Tra i termini meno apprezzati ci sono "vittima", "affetto da cancro", e "aver perso la battaglia".
Come sottolinea l'associazione, chi è malato di tumore preferisce un linguaggio che descriva loro e il tumore in modo reale, riportando i fatti. Per oltre la metà dei pazienti (52%) a offendere di più sono soprattutto gli articoli sui mezzi di comunicazione e i post sui social network, mentre circa un quinto (19%) lo dice riferendosi ad amici e familiari e l'8% a medici e operatori sanitari. Mandy Mahoney, 47 anni, ha un tumore al seno, incurabile: "Penso che le parole coraggioso, lottatore, guerriero e sopravvissuto mettano parecchio sotto pressione una persona che ha ricevuto da poco la diagnosi - racconta alla Bbc - Così come dire che si è persa la battaglia, sembra che uno non ha lottato. Meglio invece un linguaggio chiaro e concreto. Io voglio essere descritta semplicemente come una donna che vive con un tumore incurabile. Non sono coraggiosa né ispiratrice, sto solo cercando di vivere la vita al mio meglio"
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