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Epatite C, il ruolo dei medici di base è centrale per gli over 50

Infettivologia Redazione DottNet | 26/07/2019 16:28

Galli: un ruolo chiave lo ha il medico di famiglia e interventi proattivi da parte delle Regioni, come si sta facendo in Veneto, prima in Italia ad aver strutturato un programma di eliminazione dell'Epatite C

Over 50enni contagiati da giovani, detenuti e tossicodipendenti ma anche i migranti. Sono queste le popolazioni più a rischio di aver contratto l'Epatite C e non esserne ancora consapevoli. Per questo, nella battaglia per l'eradicazione del virus, è essenziale puntare sui medici di famiglia, sui Servizi per le Tossicodipendenze e sugli screening in carcere. Questo l'appello degli esperti in vista della Giornata mondiale delle epatiti, che si celebra il 28 luglio.

"Abbiamo ancora oggi in Italia - sottolinea Massimo Galli, presidente della Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali (Simit) - migliaia di over 50enni con epatite che non sanno di averla o che lo sanno e la ignorano, perché per anni la causa della diffusione è stato l'uso di siringhe e trasfusioni quando ancora non si conoscevano i rischi sulla circolazione del virus. Per individuarli, un ruolo chiave lo ha il medico di famiglia e interventi proattivi da parte delle Regioni, come si sta facendo in Veneto, prima in Italia ad aver strutturato un programma di eliminazione dell'Epatite C".

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 L'interesse va rivolto anche ai migranti, "tra i quali c'è lo stesso rischio di infezione rispetto agli italiani ma spesso meno occasione di accedere alle cure". Così come agli omosessuali che hanno rapporti non protetti e a coloro che si sono fatti tatuare in condizioni di non sicurezza, ovvero con materiali non sterili. Altro gruppo a rischio è chi fa, o ha fatto, uso di droghe per via endovenosa: "negli ultimi anni - precisa Galli - non abbiamo più un servizio che provveda, presso i SerD, a effettuare analisi del sangue degli utenti direttamente in loco, cosa che aumenterebbe molto la possibilità di avere la loro collaborazione a sottoporsi al test. Oggi invece vanno mandati dal medico e poi a fare le analisi, ma in questo iter molti li perdiamo". Problema analogo c'è stato, prosegue l'esperto, "col passaggio della competenza sulla sanità in carcere dal Ministero della Giustizia alle Asl: abbiamo avuto un crollo di dati sullo stato sierologico dei detenuti".

Proprio per raggiungere questi pazienti 'invisibili', ovvero non ancora noti, spiega Cristina Le Grazie, Executive Director Medical Affairs di Gilead, "abbiamo sostenuto, attraverso il Fellowship Program, progetti e collaborazioni con università, ospedali e istituzioni per offrire informazione tra soggetti in carcere, in modo da motivarli a sottoporsi al test e, qualora risulti positivo, continuare il percorso di cura". Altro lavoro importante riguarda i SerD, il primo punto di contatto con tossicodipendenti. "Stiamo costruendo collaborazioni, a partire da Caserta, per mettere in grado queste strutture di fare un primo screening. Mentre in Lombardia abbiamo avviato una collaborazione per rendere l'Irccs Humanitas il primo ospedale Hepatitis C free, ovvero in cui sia garantito a tutti i pazienti con Hcv il rapido accesso al test e a uno specialist". Mentre tra i prossimi obiettivi, conclude, "vi è quello di combattere la steatosi epatica, patologia metabolica in cui il fegato si infarcisce di grasso e perde la sua funzione. Confidiamo di portare presto ai pazienti terapie efficaci per gestire questa patologia, spesso correlata al diabete e che non ha una cura".
 

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