Il camice bianco in servizio al Pronto Soccorso aveva causato il decesso della paziente. Sentenza della Cassazione
Un'accusa pesante per un medico: omicidio colposo, commesso in cooperazione colposa con altri, per aver sottovalutato, nella sua qualità di medico in servizio presso il pronto soccorso, la portata delle lesioni riportate da una paziente a causa di un’aggressione subita, diagnosticandole una contusione all’anca sinistra in luogo di una frattura e omettendo di rilevare la sussistenza – evidenziabile dal referto radiologico – di una frattura al femore sinistro, confidando colposamente nella valutazione effettuata dal medico radiologo pur a fronte di una sintomatologia clinica stridente con la (erronea) diagnosi eseguita, non prescrivendo alla paziente una visita specialistica ortopedica e invece dimettendola dalla struttura ospedaliera, così incidendo sul determinismo causale della morte avvenuta per atelettasia polmonare indotta dal prolungato allettamento della vittima.
La dottoressa era stata condannata in primo grado alla pena (sospesa) di mesi otto di reclusione, come riporta il sito ResponsabileCivile. In appello aveva tentato di rimettere in discussione il tema della colpa attribuendo l’inescusabile ritardo diagnostico della frattura del femore alla responsabilità esclusiva del medico radiologo, ma la sua istanza di revisione era stata dichiarata inammissibile de piano.
Nel ricorrere per Cassazione, l’imputata evidenziava, tra gli altri motivi di doglianza, che la consulenza tecnica presentata in appello aveva la funzione di mettere in luce elementi di prova decisivi non valutati nel precedente giudizio di merito, pur essendo presenti (e conoscibili). In particolare, sottolineava di non aver mai visto direttamente i fotogrammi delle radiografie eseguite sulla paziente perché non era tenuta a farlo, dovendo attenersi al referto del medico specialista che era stato appositamente interpellato per l’espletamento di due consulenze.
La Suprema Corte, tuttavia, con la sentenza n. 35660/2019, ha ritenuto inammissibile il ricorso. In base alla giurisprudenza di legittimità, infatti, ai fini dell’ammissibilità della richiesta di revisione, possono costituire “prove nuove”, quelle che, pur incidendo su un tema già divenuto oggetto di indagine nel corso della cognizione ordinaria, siano fondate su nuove acquisizioni scientifiche e tecniche diverse e innovative, tali da fornire risultati non raggiungibili con le metodiche in precedenza disponibili .
Nel caso di specie, l’ordinanza impugnata aveva puntualmente evidenziato, con argomentazioni incensurabili, che la consulenza medico-legale allegata alla richiesta di revisione incideva su un tema d’indagine – quello dell’errore diagnostico addebitato (in concorso) alla ricorrente – già scandagliato pienamente nel giudizio di merito definito con la sentenza irrevocabile di condanna, senza fondarsi su nuove acquisizioni scientifiche capaci di superare i precedenti criteri di valutazione, così da limitarsi alla critica di dati già conosciuti e valutati.
Per i Giudici Ermellini, la sussistenza di un errore diagnostico ascrivibile anche alla ricorrente, in cooperazione colposa col radiologo – consistito nel non aver rilevato l’esistenza della frattura del collo femorale della paziente, pur in presenza di due esami radiografici nettamente positivi, del conforme referto clinico dei medici del servizio 118 che avevano provveduto al ricovero ospedaliero della donna, nonché della sintomatologia riferita dalla paziente stessa – aveva costituito oggetto di positivo accertamento da parte della sentenza di condanna, sotto il profilo della violazione delle regole di prudenza e diligenza gravanti sul medico di pronto soccorso, e dunque il relativo tema non poteva essere rimesso in discussione in sede di revisione sulla scorta di un diverso apprezzamento della medesima condotta e dei correlativi doveri professionali.
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