Censis, per la diagnosi della patologia trascorrono in media sette anni
L'emicrania è donna. E proprio le donne, che sono le più colpite e anche più precocemente, si curano di meno. Eppure la malattia le fa sentire maggiormente debilitate rispetto agli uomini, soffrono in misura maggiore delle forme croniche, gli attacchi sono più lunghi e i condizionamenti sono maggiori, sul lavoro come a casa e nella gestione dei figli. Questo il quadro che emerge dalla ricerca del Censis, "Vivere con l'emicrania", realizzata con il sostegno delle aziende Eli Lilly, Novartis e Teva.
Dalla ricerca, condotta su 695 pazienti dai 18 ai 65 anni con diagnosi di emicrania e con un focus sulla cefalea a grappolo, emerge che l'universo femminile è penalizzato sia per l'età di esordio (in media a 21,4 anni di età, contro i 26,1 anni degli uomini), sia per la diagnosi. Se oltre la metà (58,9%)dei pazienti si rivolge al medico entro un anno dalla comparsa dei sintomi (gli uomini più delle donne), il 20,7% aspetta più di cinque anni.
Il riconoscimento della cefalea cronica come malattia sociale, potrebbe aiutare i pazienti a uscire dall'ombra, a non provare più una forma di vergogna nell'indicare la patologia come causa del loro disagio e dolore, che può portare a interruzioni nella vita lavorativa e privata, ma dopo il licenziamento di un testo alla Camera in aprile la proposta di legge attende la calendarizzazione in Senato ed è di fatto bloccata per la mancanza del presidente della Commissione Sanità. Secondo la senatrice Maria Rizzotti, che della Commissione fa parte, dopo il riconoscimento è importante che non rimanga una "scatola vuota". Secondo Rizzotti "per implementare i centri cefalea ci vuole un investimento anche minimo".
È il primo documento ufficiale destinato ai medici specialisti e non che raccoglie in modo sistematico le raccomandazioni basate su un’analisi rigorosa dell’evidenza scientifica su utilizzo e efficacia dei farmaci
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