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Bonus pandemia a medici e infermieri: ancora lontano

Professione Redazione DottNet | 24/05/2020 19:16

E non mancano le polemiche: per l'Anaao le risorse sono state assegnate in modo indistinto tra Dirigenza medica e sanitaria e Comparto

Era stato sbandierato trionfalisticamente. Ma finora del bonus pandemia nessun medico o infermiere ha visto nulla. Qualcosa in alcune regioni, come Emilia, veneto, Lombardia e Sicilia si starebbe muovendo – il condizionale in questi casi è di rigore – ma in busta paga non si è visto nulla.

LE DISPOSIZIONI

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Il 17 marzo scorso con il decreto legge n. 18 viene emessa la prima norma. L’articolo 1 spiega che per il 2020, è previsto un incremento delle risorse per la remunerazione del lavoro straordinario a favore del personale dipendente direttamente impiegato nelle attività di contrasto all’emergenza Covid. I fondi sono quelli contrattuali per le condizioni di lavoro della dirigenza medica e sanitaria e del comparto sanità incrementati in totale di 250 milioni al lordo degli oneri fiscali. I criteri di ripartizione tra dirigenza e comparto – e qui, come vedremo più avanti, si apre un altro contenzioso - di tali incrementi erano però demandati alle singole Regioni secondo quanto previsto dal sistema di relazioni sindacali. Nella norma si parla di "lavoro straordinario" che tuttavia non è proprio un premio. Si precisa anche che per incassare tali indennità bisogna essere direttamente impiegati nelle attività di contrasto all’emergenza. Non è però ben chiaro chi decide l’effettiva partecipazione contro Covid. Una incognita superata con un pacchetto di proposte e modifiche all’originario decreto che avrebbero dovuto tradursi in correttivi che estendevano la platea dei beneficiari del premio inteso come indennità di risultato anziché di disagio. Emendamenti circolati in bozza e attesi col decreto "Rilancio" (pubblicato mercoledì scorso in Gazzetta Ufficiale). Quindi tutto torna alle Regioni.

Di fatto ci sono i 23 milioni stanziati a livello nazionale a valere su una voce contrattuale a cui aggiungere qualcosa del proprio bilancio ma non si sa quanto. La proposta emendativa portata dai sindacati confederali al tavolo di trattativa riconosceva che l’emergenza in atto ha comportato una maggiore esposizione al rischio di contagio per il personale dedicato all’assistenza di pazienti positivi al Covid-19 e in un’ottica di parità di trattamento di tutto il personale conveniva di estendere il riconoscimento dell’indennità di malattie infettive al personale del ruolo sanitario e agli operatori socio-sanitari per ogni giornata di effettivo servizio prestato presso i servizi che hanno ricoverato pazienti Covid. Indennità che veniva estesa al personale di tutti i ruoli operante nelle strutture ospedaliere, di ricovero, nei percorsi Covid-19, nei servizi territoriali ovvero a diretto contatto con utenze particolarmente a rischio di contagio lasciando alle regioni la possibilità di innalzarne il valore fino al doppio. Tradotto in soldoni si tratta di mille euro di competenza nazionale su cui le regioni potevano raddoppiare la posta.

LE REGIONI

Alcune regioni come il Veneto e L’Emilia effettivamente hanno concesso qualcosa, in altre si sconta un notevole ritardo. In Veneto ai lavoratori direttamente coinvolti va un premio di 1.200 euro al quale si aggiungono indennità economiche contrattualmente previste, che consentiranno di remunerare l'impegno che i lavoratori hanno avuto in questa fase. Soldi che i lavoratori vedranno in busta paga nei mesi di giugno/luglio. "In più abbiamo convenuto, una volta liquidati questi importi e con contezza di spesa sostenuta, di regolare a livello di singole aziende l'ulteriore identificazione e remunerazione del personale coinvolto a supporto delle attività Covid – sottolineano i sindacati –  Le somme a disposizione sono significative: 60.932.640 euro per i complessivi 56.501 lavoratori della sanità veneta".

In Lombardia è previsto un premio speciale a medici e sanitari in prima linea contro il Covid-19 e incentivi per 223 milioni di euro ai medici, infermieri e operatori sanitari messi a disposizione dalla Regione. Poco più della metà (123 milioni) saranno destinati a chi, negli ultimi mesi di emergenza sanitaria, si è adoperato per combattere il Covid-19 nei reparti e nelle corsie di ospedale. Il denaro arriverà con la busta paga di giugno 2020." Agli operatori sanitari siciliani impegnati nell’emergenza Coronavirus andrà un bonus di mille euro mensili come prevede la Finanziaria regionale entrata in vigore con la pubblicazione nella Guri, avvenuta il 12 maggio scorso. Il comma 8 dell’articolo 5, infatti, stabilisce di destinare l’importo mensile di 1.000 euro (dal primo marzo 2020 fino al termine dell’emergenza) agli operatori sanitari di ruolo con afferenza Covid del SSR e di emergenza-urgenza, Seus/118, autisti-soccorritori, infermieri, medici e medici 118 Est sempre impegnati nell’emergenza Coronavirus. La misura è riconosciuta agli operatori sanitari assunti a tempo indeterminato o determinato anche con forme flessibili, con l’esclusione di quelli reclutati in deroga mediante avvisi legati all’emergenza Covid-19.

Ma non mancano le polemiche perché nell’assegnazione del premio non sono state fatte distinzioni tra profili professionali: le risorse stanziate da Stato e Regione sono state messe per remunerare l’impegno profuso da parte di tutto il personale coinvolto nell’emergenza coronavirus. Una imparzialità che a molti però non è andata giù: "Le risorse economiche per la premialità Covid-19 previste nel DL "Rilancio" (articolo 2, comma 6) e destinate "prioritariamente alla remunerazione delle prestazioni correlate alle particolari condizioni di lavoro del personale dipendente delle aziende e degli enti del servizio sanitario nazionale direttamente impiegato nelle attività di contrasto alla emergenza epidemiologica determinata dal diffondersi del Covid-19", sono assegnate, purtroppo in modo indistinto tra Dirigenza medica e sanitaria e Comparto" denuncia il Segretario Nazionale Anaao Assomed Carlo Palermo.

"Questa infelice scelta – incalza - sta determinando in alcune Regioni, come Veneto e Piemonte, conflitti tra le categorie e difficoltà legate alla curiosa alleanza tra Confederazioni sindacali e Assessorati regionali alla Sanità per favorire una suddivisione pro capite e a pioggia degli importi economici finanziati dal Governo nel decreto, nonché di quelli incrementali messi a disposizione dalle Regioni attingendo a riserve proprie. Con protervia e arroganza si persegue una suddivisione delle risorse che cozza contro i limiti individuati dal decreto "Rilancio" e contro quelli ancora più restrittivi previsti dal "Cura Italia". Con una pervicacia degna di altri fini, ci si ostina nel non riconoscere le differenti condizioni di esposizione al rischio biologico e le differenti durate di esposizione sia per il personale della Dirigenza Sanitaria che per quello del Comparto Sanità, facendo carta straccia perfino del recente protocollo sottoscritto dalla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome e dalle Confederazioni sindacali".

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