Ricerca ha studiato gli effetti di 3 diversi tipi di Fsh (alfa, beta e urinario), l'ormone follicolo stimolante che nelle donne è legato alla produzione degli ovuli e, negli uomini, a quella degli spermatozoi
Uno studio italo-spagnolo potrebbe aprire la strada a nuovi percorsi per la medicina riproduttiva con terapie personalizzate. Sulla rivista scientifica Frontiers in Endocrinology è stata infatti pubblicata una ricerca che, per la prima volta, ha studiato gli effetti di 3 diversi tipi di Fsh (alfa, beta e urinario), l'ormone follicolo stimolante che nelle donne è legato alla produzione degli ovuli e, negli uomini, a quella degli spermatozoi. Dunque, riveste un ruolo chiave per l'induzione della fertilità maschile e femminile. La ricerca ha permesso di dimostrare che le differenti preparazioni di Fsh hanno differenti caratteristiche e pertanto non possono essere considerati equivalenti."Si tratta di risultati pre-clinici molto promettenti in quanto aprono interessanti scenari per il potenziale impiego di un trattamento 'personalizzato', con le varie formulazioni di Fsh in relazione ai target clinico-terapeutici nei pazienti affetti da infertilità", commenta Riccardo Calafiore, coautore del lavoro e direttore della Struttura complessa di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, dell'Università degli Studi di Perugia. Lo studio è stato coordinato da Giovanni Luca, direttore del Centro biotecnologico internazionale di Ricerca traslazionale ad indirizzo endocrino, metabolico ed embrio-riproduttivo dell'Università di Perugia, da Domenico Milardi e Giuseppe Grande, del Gruppo di Alfredo Pontecorvi, docente ordinario di Endocrinologia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. A partecipare alla ricerca, oltre all'Università di Perugia e alla Cattolica, anche l'Istituto scientifico internazionale Paolo VI di Roma, la Fondazione del Policlinico Universitario Gemelli di Roma, il Dipartimento di scienze biomediche dell'Università di Barcellona, l'Hospital Clinic di Barcellona, l'Ospedale Santa Maria di Terni.
fonte: Frontiers in Endocrinology
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