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Il vaccino contro l'Aids resta ancora un miraggio

Infettivologia Redazione DottNet | 07/06/2021 13:58

In Italia dall'inizio dell'epidemia, nel 1982, a oggi sono stati segnalati 71.204 casi di Aids, con oltre 45 mila deceduti fino al 2017

Sono passati quarant'anni dal 5 giugno 1981, quando un'autorevolissima rivista medica americana pubblicò una breve notizia a pagina 2 nella quale si dava conto di un inspiegabile aumento di due rare patologie (pneumocistosi polmonari e Sarcoma di Kaposi) tra giovani omosessuali statunitensi. Le ricerche portarono tre anni dopo a far luce su quei casi: si trattava di una malattia nuova, l'Aids (sindrome da immunodeficienza acquisita), causata da un virus, l'Hiv, capace di attaccare il sistema immunitario di una persona sana. Oggi l'Aids - che dalla sua insorgenza si stima abbia fatto nel mondo fra i 32 e i 40 milioni di vittime - ha dismesso i carattere della pandemia ed è diventata una patologia endemica, ma non è vinta: l'obiettivo resta un vaccino, che finora, a differenza di quanto avvenuto per il Covid-19, la comunità scientifica internazionale non è riuscita a mettere a punto.

Letale nelle sue forme più gravi quanto il cancro, altamente infettivo e contagioso, l'Aids ha ben presto superato la sfera degli omosessuali, e la trasmissione del virus Hiv ha interessato prostitute e clienti di prostitute, chi ha ricevuto trasfusioni di sangue, gli emofilici e, soprattutto, tossicodipendenti che si scambiavano le siringhe; attraverso i clienti delle prostitute il virus Hiv è entrato nelle famiglie e si è realizzata la trasmissione al partner e la trasmissione madre-figlio. Un mix esplosivo fatto di morte, sofferenza, discriminazione e, persino, stigma. Classificato come "peste del XX secolo", l'Aids continua a colpire: secondo i dati più aggiornati dell'Unaids (Programma congiunto delle Nazioni Unite) nel mondo 38 milioni di persone vivono con il virus, con 1,7 milioni di nuove diagnosi nel 2019.

Ogni settimana vengono diagnosticate circa 5.500 nuove infezioni da Hiv tra giovani donne (15-24 anni); tra gli adolescenti dei Paesi dell'Africa Sub-Sahariana cinque nuove diagnosi su sei riguardano ragazze (15-19 anni). Il numero dei decessi, sia pure in diminuzione rispetto, è stato di 690 mila nel 2019. In Italia dall'inizio dell'epidemia, nel 1982, a oggi sono stati segnalati 71.204 casi di Aids, con oltre 45 mila deceduti fino al 2017. Nel 2019, sempre in Italia, sono state fatte 2.531 nuove diagnosi di infezione da Hiv, in diminuzione rispetto agli anni precedenti. L'Aids fu trattato inizialmente dalla medicina ufficiale con un farmaco, l'Azt, che diede grandi speranze, le quali si tramutarono in illusione quando si verificò che si allungava solo di qualche mese la sopravvivenza. Mentre gli attivisti inscenavano manifestazioni di protesta armati di vernice rossa, a simboleggiare sangue infetto, e mentre si moltiplicavano le campagne sull'uso del preservativo, con scontri dettati da motivazioni etico-religiose, la comunità scientifica esultò nuovamente quando fu annunciata una "terapia di combinazione tra più farmaci" capace di garantire la sopravvivenza dei pazienti infettati dal virus Hiv. Ma anche in questo caso fu presto chiaro che si riusciva solo ad allungare la sopravvivenza, peraltro, talvolta, con effetti collaterali devastanti, come l'alterazione dell'immagine della persona tale da rendere identificabile il sieropositivo, senza tuttavia sconfiggere il virus.

Oggi la ricerca farmacologica ha compiuto progressi importanti, fornendo nuovi prodotti alla terapia di combinazione (compresi i cosiddetti "antiretrovirali"), che hanno rimosso l'automaticità della sentenza di morte insita nell'Hiv e sono riusciti a trasformare l'Aids da malattia senza speranza a malattia cronica. L'Aids, tuttavia, continua a colpire soprattutto nei Paesi più poveri, dove l'accesso ai farmaci è spesso negato. L'obiettivo della comunità internazionale resta il vaccino. Dopo il fallimento dichiarato di alcune sperimentazioni, equipe di eccellenti ricercatori, anche italiani, sono da anni impegnati a creare una risposta immunologica, puntando a colpire la "proteina Tat" dell'Hiv - una proteina interna del virus che favorisce la replicazione - per potenziare la ricostituzione del sistema immunitario e bloccare o limitare la potenza virale sull'organismo.

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