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Cardiomiopatia, buoni risultati da Mavacamten in studio clinico

Farmaci Redazione DottNet | 14/04/2022 13:38

A 16 settimane dall'inizo dello studio, dei pazienti trattati con mavacamten, l'82% non aveva più la necessità di essere sottoposto a intervento, rispetto al 23% dei pazienti che hanno ricevuto placebo

Un nuovo farmaco in grado di inibire una proteina prodotta dal cuore riduce il bisogno di procedure di interventi per la riduzione del setto intraventricolare in pazienti con cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva sintomatica grave. Dopo 16 settimane di trattamento ha portato, infatti, a un miglioramento dei parametri cardiaci chiave. Questi i dati di uno studio clinico di fase 3 che sono stati presentati da Bristol Myers Squibb alla 71/ma Sessione Scientifica Annuale dell'American College of Cardiology.

La cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva è una malattia cronica progressiva in cui l'eccessiva contrazione del muscolo cardiaco e la ridotta capacità di riempimento del ventricolo sinistro possono rendere difficile la circolazione del sangue nel resto del corpo, determinando lo sviluppo di sintomi debilitanti e disfunzione cardiaca.

I partecipanti allo studio erano trattati con regimi terapeutici ai livelli massimi tollerati quando sono entrati nello studio e lo sono rimasti per la durata dello studio. Mavacamten, inibitore della miosina first in class, ovvero che ha meccanismi di azione diversi da quelli esistenti sul mercato, è stato assegnato a un gruppo di 56 pazienti e altrettanti hanno ricevuto placebo.

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A 16 settimane dall'inizo dello studio, dei pazienti trattati con mavacamten, l'82% non aveva più la necessità di essere sottoposto a intervento, rispetto al 23% dei pazienti che hanno ricevuto placebo. I pazienti nel gruppo che ha ricevuto mavacamten hanno anche dimostrato una riduzione dei gradienti del tratto di efflusso del ventricolo sinistro, un miglioramento delle misure della qualità di vita e un miglioramento dei biomarcatori cardiaci. Non sono stati osservati nuovi segnali di sicurezza. "I dati presentati oggi sono clinicamente significativi e hanno dimostrato la possibilità di influire sui parametri che rendono i pazienti elegibili alla procedure di riduzione del setto", spiega Milind Desai, direttore dell'HCM center e direttore del clinical operations, Heart, Vascular & Thoracic Institute, Cleveland Clinic.

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