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Il vaccino Covid è meno efficace negli immunodepressi

Infettivologia Redazione DottNet | 14/07/2022 14:00

Studi del Bambino Gesù, necessaria una strategia personalizzata

I vaccini anti-Covid sono fondamentali per proteggere le persone immunodepresse, tuttavia in quelle particolarmente fragili la loro efficacia può essere minore a causa della patologia di base e o delle terapie a cui sono sottoposti. È quanto emerge da una serie di cinque studi (denominati CONVERS) condotti da ricercatori del Bambino Gesù di Roma su diverse categorie di pazienti fragili.  L'ultimo delle ricerche è appena stata pubblicata su Clinical Infectious Diseases.

  "La maggior parte dei soggetti immunodepressi risponde al vaccino ma in misura minore rispetto ai soggetti sani, con delle differenze da gruppo a gruppo, mentre una percentuale minoritaria non sviluppa purtroppo alcuna forma di immunità al virus", spiega Paolo Palma, responsabile di Immunologia Clinica e Vaccinologia del Bambino Gesù. "Per questi pazienti fragili è importante intervenire con una strategia vaccinale di rinforzo e personalizzata".

Le ricerche hanno coinvolto complessivamente 165 pazienti di età compresa tra i 12 e i 25 anni riscontrando un quadro diverso a seconda della patologie da cui erano affetti. Dagli studi è emerso che i pazienti con infezione perinatale da Hiv sviluppavano anticorpi specifici per SarsCov2 nel 100% dei casi, ma inferiori rispetto alla norma e l'89% non aveva risposta a livello di linfociti T; i pazienti con malattia infiammatoria cronica avevano una risposta comparabile al gruppo di controllo, ma nei pazienti che utilizzano farmaci anti-TNF la risposta sierologica si è rivelata inferiore in media del 43%; le perone con sindrome di Down avevano una risposta sierologica comparabile a quella degli adulti di età superiore ai 65 anni; i pazienti con con immunodeficienza primitiva nel 14% dei casi non sviluppavano anticorpi e negli altri casi avevano una risposta inferiore alla media; infine, i bambini sottoposti a trapianto di cuore e polmone non aveva sviluppato anticorpi né linfociti T specifici nel 31% dei casi.  "La strategia vaccinale va adattata alle specificità di ogni gruppo di pazienti", dice ancora Palma. "In attesa di individuare le migliori strategie vaccinale restano fondamentali le dosi aggiuntive che garantiscono comunque una valida forma di protezione in queste categorie di pazienti".

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