Lo rivela un nuovo studio appena pubblicato su eBioMedicine del gruppo The Lancet.
Un esame del sangue prevede chi ha maggiori possibilità di sviluppare il Long Covid, come rivela un nuovo studio appena pubblicato su eBioMedicine del gruppo The Lancet. Gli scienziati hanno analizzato campioni di plasma di 54 operatori sanitari con Covid confermato da tampone molecolare o test degli anticorpi, prelevati ogni settimana per 6 settimane nella primavera 2020, confrontandoli con campioni raccolti nello stesso periodo su 102 sanitari che non erano stati contagiati da Sars-CoV-2. Attraverso tecniche mirate di spettrometria di massa, gli autori hanno studiato come Covid-19 influenzava i livelli di proteine plasmatiche nell’arco delle 6 settimane. Hanno così rilevato concentrazioni anomale, molto elevate, per 12 proteine su 91 valutate, evidenziando che il grado di anomalia nelle concentrazioni proteiche era associato alla gravità dei sintomi. Il team ha inoltre osservato che, al momento della diagnosi di positività a Sars-CoV-2, livelli anomali di 20 proteine erano predittivi di disturbi che permanevano a un anno dal contagio.
La maggior parte di queste proteine «spia» erano legate a meccanismi anticoagulanti e antinfiammatori. I ricercatori hanno quindi chiesto aiuto all’intelligenza artificiale, addestrando un algoritmo di apprendimento automatico che ha imparato a esaminare i profili proteici dei partecipanti ed è stato in grado di distinguere tutti gli 11 operatori che 12 mesi dopo l’infezione riferivano almeno un sintomo persistente.
Il lavoro presenta però dei limiti, come segnala Pierangelo Clerici, presidente dell’Associazione Microbiologi Clinici Italiana: «Come già evidenziano gli stessi autori, il numero di persone coinvolte nello studio è esiguo e insufficiente per trarre conclusioni. Inoltre non sappiamo se i positivi al Covid soffrissero in quel momento di altre patologie infettive, anche solo un raffreddore: alcuni dei parametri che vengono citati come l’interleuchina 6 o la calprotectina si muovono infatti anche in presenza di altri stati infiammatori generici di natura infettiva e non è detto che sia stato proprio il Covid ad alterare quelle proteine». Poca chiarezza anche per quanto riguarda i tempi del Long Covid: «Lo studio non ci dice quanto durerà il Long Covid in questi pazienti: non sappiamo se quantizzando quelle proteine potremmo mettere in correlazione la durata della sintomatologia di Long Covid per uno, tre, sei mesi a seconda dei livelli di proteine registrati. Infine sarebbe utile conoscere a quali sintomi del Long Covid è collegato l’innalzamento del livello di una o più proteina: astenia? Nevralgia? Difficoltà respiratorie? Resta ancora l’incognita Long Covid e vaccini. Alcuni studi non definitivi suggeriscono che chi è vaccinato sembra essere maggiormente protetto anche dai sintomi che perdurano nel tempo. Svolgere lo stessa ricerca oggi (lo studio è infatti stato condotto quando ancora non c’erano i vaccini) porterebbe agli stessi risultati? «Chi ha completato il ciclo vaccinale e poi si contagia con Omicron 5 manifesterà tutte le proteine che cita l’articolo se è a rischio Long Covid? Quanto incide il vaccino sulle proteine di natura infiammatoria?» si chiede Clerici. Per ottenere risposte bisognerebbe svolgere nuovi lavori molto più ampi oggi, tenendo conto che una larga parte della popolazione mondiale è vaccinata.
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