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Recupero delle morosità contributive e pagamento della pensione: nuove disposizioni Enpam

Previdenza Redazione DottNet | 30/05/2023 19:18

Il principio dell’automaticità delle prestazioni non si applica ai regimi previdenziali dei liberi professionisti e, quindi, ai medici ed agli odontoiatri iscritti all'Enpam, i quali sono chiamati a versare direttamente il contributo alla Fondazione

Quando si raggiunge l’età pensionabile (i fatidici 67 anni attuali della Legge Fornero) e si presenta all’Inps domanda di pensione, presupponendo che siano dimostrabili i 20 anni di rapporto lavorativo, quello di percepire il proprio trattamento pensionistico diventa un diritto insopprimibile, anche se alcuni dei datori di lavoro non hanno ottemperato all’obbligo di versare i contributi all’Ente di previdenza preposto.

In questo consiste il cosiddetto principio dell’automaticità delle prestazioni previdenziali. Esso è sancito in via generale dall’art. 2.116 del codice civile, in base al quale il trattamento è dovuto all’assicurato anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza ed assistenza.

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Nel mondo medico e odontoiatrico la certezza della pensione riguarda certamente i sanitari dipendenti, ed in qualche misura anche i convenzionati, i quali, per quanto conservino la natura di liberi professionisti, sono comunque legati alle strutture pubblicistiche da un contratto, il cui rispetto può essere giudizialmente preteso nelle sedi opportune.

Il principio dell’automaticità delle prestazioni, al contrario, non si applica ai regimi previdenziali dei liberi professionisti e, quindi, ai medici ed agli odontoiatri iscritti al Fondo di previdenza generale dell’Enpam, i quali sono chiamati a versare direttamente il contributo alla Fondazione. In caso di inadempimento, questi soggetti rischiano di non percepire affatto la loro pensione (se gli anni evasi non consentono di raggiungere il requisito contributivo minimo), oppure di percepirla in forma ridotta, se il contributo evaso è prescritto, e quindi non viene inserito nel conteggio della prestazione spettante.

Lo dice, in particolare, il comma 2 dell’art. 12 del vigente Regolamento del regime sanzionatorio del Fondo Generale, secondo il quale il mancato pagamento degli importi dovuti a titolo di contributi, sanzioni ed interessi, di cui ai precedenti articoli, sospende l’erogazione delle prestazioni dell’Ente.

In realtà, la Fondazione, pur essendo ovviamente interessata a recuperare tutta la contribuzione a cui ha diritto, ha sempre cercato le migliori soluzioni per consentire agli iscritti in difficoltà di arrivare comunque alla percezione della loro pensione. Lo strumento principale, utilizzato in varie delibere dell’Ente (l’ultima del 29 marzo scorso), è stato quello della compensazione fra la pensione (comprensiva degli arretrati maturati) e i debiti contributivi.

Nella delibera più recente, è fra l’altro previsto che se l’iscritto moroso ha scelto di convertire una quota della pensione in una indennità in capitale, il debito contributivo viene trattenuto in via prioritaria, sino a concorrenza dell’importo, sull’indennità in capitale…al netto degli oneri fiscali. Questa disposizione si applica anche ai superstiti, in caso di decesso dell’iscritto.

Se gli arretrati o le indennità in capitale non sono sufficienti ad estinguere totalmente il debito contributivo, si possono verificare due possibilità:

    • Se il debito residuo non supera una annualità dell’importo lordo di tutte le pensioni maturate, si effettua una ritenuta (comprensiva degli interessi al saggio legale) pari al 20% dei singoli ratei mensili, a patto che il debito si estingua entro un massimo di cinque anni;
    • Se il debito residuo supera una annualità di tutte le pensioni, su richiesta dell’interessato (il quale in questo modo può far partire l’erogazione dei trattamenti, che altrimenti rimane bloccata), la trattenuta mensile può anche superare il limite del 20% dell’importo complessivo dei ratei mensili. Anche in questo caso, però, il debito deve estinguersi in un massimo di cinque anni.

È comunque sempre consentito corrispondere in unica soluzione la parte di debito che non consente di rientrare nei piani di rateazione quinquennali.

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