Un pensionato di 71 anni è ricoverato da circa una settimana a Cagliari, nel reparto di Malattie infettive dell’ospedale Santissima Trinità, in condizioni stabili
Arriverà giovedì 13 luglio il responso sul caso di colera accertato a Cagliari su un paziente di 71 anni originario di Arbus, nel sud Sardegna. Solo allora si saprà l'origine dell'infezione. L'uomo - ha spiegato all'ANSA il responsabile del reparto Infettivi del Santissima Trinità, Goffredo Angioni - sta meglio. La situazione è in fase di normalizzazione e sotto controllo. La diagnosi è emersa da un controllo su pregresse patologie". Applicati tutti i protocolli nazionali relativi alla malattia infettiva: il paziente è in isolamento ed è già in corso - se ne sta occupando la Asl del Medio Campidano - l'attività di tracciamento per rilevare eventuali casi di contagio tra le persone che abitualmente vivono con il paziente o lo frequentano.
"La situazione è sotto controllo - ha confermato il manager della Asl Marcello Tidore all'ANSA - la raccomandazione, soprattutto d'estate è quella di fare attenzione alla potabilità dell'acqua. Preferibile sempre consumare cibi cotti, se crudi devono essere stabulati o abbattuti". Cause ancora da accertare, ma massima prudenza e attenzione: "Il paziente è in isolamento e tutto il personale chiaramente deve stare particolarmente attento. Ma stiamo rispettando tutti i protocolli previsti per queste situazioni", ha precisato il direttore generale della Asl 8 Roberto Massazza.
L'uomo è ricoverato in ospedale da cinque giorni. Sconosciuto al momento il luogo e il giorno del contagio: l'anziano soffre di patologie cardiache e non avrebbe fatto recentemente viaggi all'estero. Ha accusato i primi sintomi circa un mese fa e questo elemento rende difficile stabilire il momento esatto del contagio. L'emergenza è scattata martedì, quando l'anziano è arrivato all'ospedale di Is Mirrionis dopo un ricovero in un'altra struttura sanitaria: accusava disturbi gastrointestinali e dopo alcuni trattamenti non aveva avuto alcun miglioramento, a quel punto si è fatta avanti l'ipotesi del batterio e sono stati avviati gli accertamenti con il conseguente trasferimento nel reparto di Malattie infettive del Santissima Trinità. È scattato il protocollo previsto in questi casi, anche se ancora non c'era la certezza del caso di colera, arrivata poco dopo dai risultati delle colture dalle quali è emersa la presenza del batteria vibro cholerae.
“Il colera, purtroppo, è ancora presente nel mondo”, dice a Fortune Italia il virologo Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell’Irccs Istituto Ortopedico Galeazzi. “La capillarità e la velocità dei trasporti creano difficoltà nell’individuare le maglie di una catena di contagio, legata magari a persone che arrivano da zone dove il colera è endemico. Quindi vediamo l’aspetto positivo: la capacità di aver diagnosticato la malattia e individuato il paziente”. Anche dopo 50 anni di ‘silenzio’. “Vediamo se anche l’esperienza che abbiamo fatto con Covid-19 ci abbia insegnato a recuperare la capacità dal punto di vista epidemiologico“. Ovvero, quella di ricostruire, come detective, il percorso del patogeno.
Il colera è un’infezione diarroica acuta causata da un batterio: Vibrio cholerae. La tramissione del vibrione avviene per contatto orale, diretto o indiretto, con feci o alimenti contaminati e nei casi più gravi può portare a pericolosi fenomeni di disidratazione. Nel diciannovesimo secolo, ricorda l’Istituto superiore di sanità, il colera si è diffuso più volte dalla sua area originaria attorno al Delta del Gange verso il resto del mondo, dando origine a sei pandemie (per pandemia si intende una manifestazione epidemica di una malattia su larghissima scala, anche planetaria) che hanno ucciso milioni di persone in tutto il mondo. La settima pandemia è ancora in corso: è iniziata nel 1961 in Asia meridionale, raggiungendo poi l’Africa nel 1971 e l’America nel 1991. Oggi la malattia è considerata endemica in molti Paesi e il batterio che la provoca non è ancora stato eliminato dall’ambiente.
I sierogruppi di Vibrio cholerae che possono causare epidemie sono due: il Vibrio cholerae 01 e il Vibrio cholerae 0139. La principale riserva di questi patogeni sono rappresentati dall’uomo e dalle acque, soprattutto quelle salmastre presenti negli estuari, spesso ricchi di alghe e plancton. Il sierogruppo 01 provoca la maggior parte delle epidemie e, secondo recenti studi, il cambiamento climatico potrebbe favorire la formazione di ambienti adatti alla sua diffusione. Il sierogruppo 0139, invece, è stato identificato nel 1992 in Bangladesh e, per ora, la sua diffusione è stata accertata solo nel Sud-est asiatico. Gli altri gruppi di Vibrio cholerae possono causare deboli forme di diarrea, che però non si sviluppano in vere e proprie epidemie.
L’incubazione della malattia oscilla tra due e tre giorni ma in casi eccezionali può variare tra 2 ore e 5 giorni, “in funzione del numero di batteri ingeriti”. Nel 75% dei casi le persone infettate non manifestano alcun sintomo. Tra gli altri, solo una piccola parte sviluppa una forma grave della malattia. Quando presente, il sintomo prevalente è la diarrea, acquosa e marrone all’inizio chiara e liquida successivamente (tipico è l’aspetto ad “acqua di riso”). In alcuni soggetti la continua perdita di liquidi può portare alla disidratazione e allo shock, che nei casi più gravi può essere rapidamente fatale. La febbre non è un sintomo prevalente della malattia, mentre possono manifestarsi vomito e crampi alle gambe.
Di fronte a una malattia che colpisce con diarrea e vomito, l’aspetto chiave è la reintegrazione dei liquidi e dei sali persi. Il tutto attraverso soluzioni ricche di zuccheri, elettroliti e acqua. I casi più gravi necessitano, invece, di un ripristino dei fluidi intravenoso che, soprattutto all’inizio, richiede grandi volumi di liquidi, fino ai 4-6 litri. Con un’adeguata reidratazione solo l’1% dei pazienti muore e, di solito, in seguito al ripristino dei fluidi, la malattia si risolve autonomamente. Gli antibiotici, generalmente tetracicline o ciprofloxacina, possono abbreviare il decorso della malattia e ridurre l’intensità dei sintomi e sono utilizzati soprattutto per le forme più gravi o nei pazienti più a rischio, come gli anziani.
Una delle epidemie più celebri del passato è quella di Napoli: la notizia del colera in città iniziò a diffondersi la sera del 28 agosto. Dopo i primi ricoveri si scatenò il panico tra la popolazione, con il prezzo dei limoni alle stelle e la corsa al vaccino che ha portato al record di un milione di immunizzati in una settimana. Le autorità provvedettero ad iperclorinare le acque dell’acquedotto municipale, proibendo la vendita dei frutti di mare e sequestrandoli nei ristoranti, avviando una campagna straordinaria di raccolta dei rifiuti, pulizia delle strade e disinfestazione dalle mosche. I sospetti, nel caso dell’epidemia a Napoli, si concentrarono infatti sulle cozze crude. I mitili sono in grado di filtrare tutto ciò che è contenuto nei mari nei quali vivono, ecco perché possono essere fonte di contaminazione batterica.
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