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Integratori alimentari, SITOX: l’Europa bandisce sostanze che non creano rischi reali nel prodotto finale

Sanità pubblica Redazione DottNet | 28/02/2024 18:30

Aloe vera, riso rosso fermentato, rabarbaro negli integratori alimentari: le istituzioni europee adottano misure sproporzionate a fronte di opinabili valutazioni del rischio

Gli integratori alimentari sono alimenti che contengono fonti concentrate di sostanze nutrienti (vitamine e sali minerali) o funzionali (estratti vegetali, acidi grassi essenziali, aminoacidi etc). Un settore economico ampio e complesso, che continua ad incontrare il favore dei consumatori, ma che è messo di fronte, soprattutto negli ultimi anni, a continue sfide, che ne mettono in serio pregiudizio il futuro. Soprattutto riferendosi ad estratti e derivati da piante, le opinioni dell’autorità della sicurezza degli alimenti EFSA stanno sollevando problemi che nella realtà non esistono, evidenziando rischi per la salute del consumatore, non condivisi dalla comunità scientifica.

È il caso per esempio degli estratti e delle preparazioni da Aloe spp, contenenti idrossiantraceni, sostanze definite genotossiche e addirittura cancerogene da EFSA per le quali si è pervenuti a una loro parziale o totale esclusione quando utilizzati negli integratori alimentari. Di questo argomento, tra gli altri, si è discusso durante il XXI Congresso della Società Italiana di Tossicologia, a Bologna. In particolare, grande spazio è stato riservato alla comunicazione dell'efficacia e della sicurezza degli integratori alimentari, oggetto di una tavola rotonda che ha coinvolto diversi esperti come il presidente della SITOX Corrado Galli e il presidente entrante Orazio Cantoni, il presidente della SIF Giuseppe Cirino,  e Carla Ghelardini e la presidente di SISTE Marinella Trovato

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"Viviamo in un paradosso – ha affermato il presidente Galli – secondo il quale l’aloe è stata vietata dall’UE come componente per la produzione di integratori alimentari in quanto contenente naturalmente idrossiantraceni, ma che può continuare ad essere utilizzata in altri alimenti. Quindi, ad esempio, i succhi di Aloe possono essere usati come ed in bevande, ma non come componenti di un integratore alimentare". Ciò su cui equivocano l’EFSA e le istituzioni europee è proprio sulla modalità di ricerca e analisi condotta. "Se si vuole verificare la sicurezza di un integratore – prosegue Galli - bisogna effettuare una valutazione sul prodotto in sé e non selezionare uno degli elementi che lo costituiscono, presente peraltro in quantità percentuali (dosi) bassissime nel prodotto finito. Non è possibile determinare la sicurezza di una miscela complessa come un derivato vegetale, prendendo in esame solo uno dei tanti componenti dello stesso e identificandone la pericolosità e non il rischio. 

In pratica l’autorità studia uno dei componenti, presente in una percentuale bassissima nel derivato vegetale ed ancor più bassa nel prodotto finale, senza prendere in considerazione la preparazione nella sua totalità. Un assurdo che si allontana da una vera valutazione del rischio legato alla dose di esposizione, in favore di una meno attendibile valutazione del pericolo. Non è questa la strada corretta".

Un singolo componente di una miscela complessa non deve costituire la fonte unica di valutazione della sicurezza di un prodotto complesso; è semmai l’insieme che deve divenire oggetto di valutazione. I preparati contenenti idrossiantraceni dell’Aloe sono solo uno degli esempi di tale approccio metodologico sbagliato. Per altre preparazioni di origine vegetale è stata avviata la stessa procedura di indagine, che non tiene conto né della preparazione nel suo insieme, né della reale esposizione del consumatore, e non è difficile ipotizzare l’adozione di altre misure altrettanto ingiuste e sproporzionate. A essere non corretto, dunque, è l’intero impianto di analisi del rischio, che si fonda su premesse metodologiche errate. Ciò che serve è una valutazione finale che accerti il rischio del prodotto così come pensato per la consumazione. Altrimenti si perviene a conclusioni sbagliate che portano a bandire sostanze che, all’interno del preparato ultimo, non comportano invece alcun rischio.

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