L’ipotiroidismo è una malattia molto diffusa nella popolazione in tutte le fasce d’età. Si tratta di una patologia autoimmunitaria nella quale la tiroide non è in grado di produrre un’adeguata quantità di ormoni tiroidei necessari per l’organismo umano. La patologia colpisce ambi i sessi ma si verifica prevalentemente nelle donne. La terapia sostitutiva con levotiroxina rappresenta il trattamento standard per la patologia nelle diverse fasi della vita.
La tiroide è una ghiandola fondamentale per il nostro organismo, in quanto produce gli ormoni tiroidei, deputati alla regolazione del metabolismo e della produzione energetica.[1] Diverse condizioni patologiche possono interessare la ghiandola tiroidea in tutte le fasce d’età.[2] La più frequente è l’ipotiroidismo, caratterizzato dall’incapacità, da parte della tiroide, di produrre un’adeguata quantità di ormoni tiroidei per il fabbisogno del nostro organismo.[2] La clinica dell’ipotiroidismo spesso varia da soggetto a soggetto e si manifesta con segni piuttosto aspecifici. I tipici segni e sintomi sono: aumento del volume della ghiandola tiroidea (gozzo), astenia marcata, tendenza ad aumentare di peso o a non perdere peso durante un trattamento dietetico, aumento dell’ipostenia a livello muscolare, sonnolenza, intolleranza al freddo, stipsi e pelle secca con un'ampia variazione intra-individuale a seconda dell'età, del sesso e di altri fattori per cui a volte può non essere immediata la relazione tra i sintomi e la diagnosi della patologia, determinando un ritardo nell’inizio del trattamento.
Le cause dell’ipotiroidismo possono essere molteplici; esistono infatti sia forme di ipotiroidismo congenite, che sono meno frequenti, che forme di ipotiroidismo acquisite, più frequenti.[3]
Nel caso delle forme di ipotiroidismo congenito le principali conseguenze riguardano lo sviluppo neuronale che appare compromesso; ciò è dovuto all’importante ruolo degli ormoni tiroidei per la maturazione del sistema nervoso centrale.[2] L’introduzione di uno screening neonatale per l’ipotiroidismo congenito ha permesso di identificare più precocemente le alterazioni funzionali della tiroide, con immediato avvio della terapia sostitutiva con levotiroxina al fine di garantire a tali pazienti un normale sviluppo psicomotorio e cognitivo e una regolare crescita.[2]
Durante il periodo dell’adolescenza le più importanti conseguenze della diminuzione dell’attività degli ormoni tiroidei sono legate ad una scarsa funzionalità mentale.[2] L’assenza degli effetti biologici esercitati dagli ormoni tiroidei determina, infatti, in tale fascia evolutiva condizioni comportamentali come la sindrome da deficit di attenzione (ADHD).[2]
Negli adulti il deficit di ormoni tiroidei, oltre a peggiorare notevolmente la qualità della vita a causa dell’insorgenza di un’ampia gamma di sintomi che interferiscono, e in alcuni casi impediscono, lo svolgimento di molte attività quotidiane, può determinare ridotta gittata cardiaca e ridotta funzionalità polmonare; tali pazienti hanno una bassa produzione di sostanze come emoglobina e glucocorticoidi surrenalici ed un aumentato rischio di malattie secondarie come malattie cardiovascolari, obesità, ipertensione, scarsa capacità fisica.[2,4]
Fortunatamente è possibile trattare l’ipotiroidismo riducendo il rischio dei gravi danni permanenti correlati alla patologia. La terapia sostitutiva ormonale per tali pazienti prevede l’utilizzo di levotiroxina (LT4). Le attuali linee guida europee, americane e britanniche consigliano tale molecola come trattamento standard per l’ipotiroidismo con lo scopo di raggiungere le concentrazioni sieriche dell'ormone stimolante la tiroide (TSH) e della tiroxina libera (FT4) entro intervalli di riferimento predefiniti.[1,5]
Nel parlare dell’ipotiroidismo nelle varie fasi della vita un breve discorso a parte va infine fatto per ciò che concerne le donne. L'ipotiroidismo, infatti, ha una prevalenza del 3,6-5,1% negli adulti e si verifica 4-7 volte più spesso nelle donne, sia in età fertile che in gravidanza.[5,6]
Di particolare interesse è la gestione della terapia ed in particolare della posologia della levotiroxina nelle pazienti con ipotiroidismo che decidono di intraprendere una gravidanza.[6] Durante la gestazione, infatti, si verificano cambiamenti fisiologici nell'omeostasi tiroidea che determinano un aumento del fabbisogno di tiroxina (T4). Le donne con riserve tiroidee inadeguate già da prima della gravidanza potrebbero non essere in grado di soddisfare adeguatamente questa maggiore domanda [6] Di conseguenza, circa il 50-85% delle donne con ipotiroidismo prima del concepimento necessitano di un aumento del dosaggio di levotiroxina; ciò previene lo sviluppo di ipotiroidismo manifesto in gravidanza.[6] È molto importante che il dosaggio della levotiroxina sia rivisto già prima del concepimento, ove possibile, come raccomandano le linee guida sulla gravidanza dell’American Thyroid Association (ATA) del 2017.[6] Inoltre l'American Thyroid Association raccomanda l’utilizzo di levotiroxina nell’ipotiroidismo subclinico e conclamato anche nel caso di pazienti in allattamento o che intendono allattare.[7] Non sono stati, infatti, segnalati effetti avversi nei bambini allattati da pazienti con ipotiroidismo in terapia con levotiroxina.[7] Anche lo sviluppo e la crescita di tali bambini sono risultati completamente nella norma.[7] La terapia sostitutiva con levotiroxina durante l’allattamento in pazienti affetti da ipotiroidismo è dunque considerata sicura ed è fortemente raccomandata poiché per un allattamento ottimale sono necessari adeguati livelli sierici di ormone tiroideo.[8]
Bibliografia:
Pustilnik E, Schwarzstein D, Feldman R, Mancinelli L, Paladini L, Pellizzón NA, Ramírez Stieben LA. The influence of age and body weight on levothyroxine replacement dosage to achieve euthyroidism in patients with primary hypothyroidism. Endocrinol Diabetes Nutr (Engl Ed). 2021 Mar 6: S2530-0164(21)00039-2. English, Spanish. doi: 10.1016/j.endinu.2020.09.009.
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