Quest’anno l’azienda ha portato 76 abstract ai congressi ASCO ed EHA 2025, presentando nuovi dati da studi clinici e di real-world, sia per i tumori solidi sia per quelli ematologici
35 nuove autorizzazioni in ambito onco-ematologico a livello globale entro il 2030: questa la previsione di Johnson & Johnson del 2023. Ad oggi, sono state 11 le nuove autorizzazioni europee. Tra quest’ultime troviamo l’approvazione di due molecole first-in-class: talquetamab, il primo anticorpo bispecifico diretto verso l’antigene GPRC5D (G-protein coupled receptor family C group 5 member D) nel trattamento del mieloma multiplo recidivato e refrattario, ed erdafitinib, prima target therapy orale per il trattamento del carcinoma uroteliale non resecabile o metastatico con mutazioni FGFR3. «Da oltre trent’anni Johnson & Johnson contribuisce a rispondere ai bisogni di cura ancora insoddisfatti dei pazienti oncologici e al miglioramento della loro aspettativa e qualità di vita. Questo grazie al desiderio di concretizzare la nostra missione: lavorare per essere ogni giorno un passo avanti al cancro. La nostra pipeline continua a crescere e ad arricchirsi di terapie sempre più avanzate e personalizzate, da qui al 2030 prevediamo circa 5 nuove approvazioni ogni anno, e questo è reso possibile dal nostro impegno nella ricerca e sviluppo di farmaci innovativi», ricorda Alessandra Baldini, Direttrice Medica di Johnson & Johnson Innovative Medicine Italia.
Il ruolo chiave nell’area della ricerca e sviluppo in oncologia per Johnson & Johnson è sempre più supportato dai dati: le sfide in questo ambito continuano e come cambiano i bisogni clinici dei pazienti allo stesso modo si evolve la ricerca di Johnson & Johnson. Ad oggi, ci sono 106 studi attivi a livello globale. Di questi, quasi la metà (51) riguardano proprio l'area dell’onco-ematologia, a dimostrazione del fatto che rimane un ambito in cui sussistono tuttora bisogni insoddisfatti. Di questi, 25 sono studi in fasi iniziali, a riprova del costante slancio verso l’innovazione che contraddistingue l’azienda. E non solo a livello globale: in Italia, solo nel 2024, il 23 per cento degli studi clinici gestiti da Johnson & Johnson hanno riguardato l’onco-ematologia in 69 centri.
A ulteriore testimonianza del costante impegno nella ricerca clinica, quest’anno l’azienda ha portato 76 abstract ai congressi dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) e della European Hematology Association (EHA) 2025, nel corso dei quali sono stati presentati nuovi dati da studi clinici e di real-world, sia per i tumori solidi sia per quelli ematologici.
Nell’ambito dei tumori ematologici, Johnson & Johnson sta contribuendo a cambiare radicalmente il trattamento del mieloma multiplo, con un portfolio sempre più in espansione con quattro immunoterapie – l’anticorpo monoclonale anti-CD38 daratumumab, i due anticorpi bispecifici teclistamab e talquetamab e la terapia cellulare CAR-T ciltacabtagene-autoleucel (cilta-cel) studiate per essere utilizzate in fasi diverse della malattia e, conseguentemente, per soddisfare i bisogni insoddisfatti di pazienti dalle linee precoci alle linee più avanzate.
«Il mieloma è una malattia complessa per la quale esistono tuttora esigenze terapeutiche insoddisfatte. La ricerca scientifica sta facendo enormi passi avanti nella cura di questa malattia e negli ultimi anni le nuove terapie hanno migliorato significativamente la sopravvivenza e la qualità di vita dei pazienti. Inoltre, la disponibilità di questi nuovi farmaci ha cambiato l’approccio terapeutico, rendendolo più personalizzato e permettendo ai medici di orientare la scelta terapeutica per ogni paziente non solo sulla base dell’efficacia, ma anche della tollerabilità e della modalità di somministrazione, come ad esempio le formulazioni sottocutanee di terapie quali daratumumab e gli anticorpi bispecifici», commenta Benedetto Bruno, Direttore della Struttura Complessa di Ematologia Universitaria presso l’AOU Città della Salute e della Scienza di Torino, Professore Ordinario di Ematologia del Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute dell’Università di Torino.
Ai recenti congressi internazionali, l’azienda ha presentato diversi dati sulle immunoterapie per il mieloma, dall’anticorpo monoclonale anti-CD38 ai bispecifici e alle CAR-T. Innanzitutto, sono stati presentati i risultati a lungo termine degli studi fase 3 PERSEUS e CEPHEUS che hanno valutato l’efficacia del trattamento a base di daratumumab in combinazione con bortezomib, lenalidomide e desametasone, il quale ha dimostrato tassi di negatività della malattia minima residua (MRD) profondi e prolungati e un miglioramento della sopravvivenza libera da progressione (PFS) a lungo termine in pazienti con mieloma multiplo di nuova diagnosi, indipendentemente dallo stato del trapianto. Di recente, inoltre, questa combinazione con daratumumab in formulazione sottocutanea ha ricevuto l’approvazione dalla Commissione europea per l’estensione di indicazione per il trattamento in prima linea dei pazienti adulti affetti da mieloma multiplo di nuova diagnosi.
Ci sono stati dati promettenti anche nell’ambito della terapia a base di CAR-T, cilta-cel. In particolare, lo studio CARTITUDE-1, i cui risultati a lungo termine sono stati presentati all’ASCO, ha mostrato che un terzo dei pazienti con mieloma multiplo recidivato e refrattario trattati con cilta-cel rimane libero da progressione della malattia a cinque anni. Anche nelle linee più precoci non sono mancate le novità: infatti l'analisi dello studio CARTITUDE-4, che ha valutato l’efficacia di cilta-cel in pazienti che hanno ricevuto da una a tre linee di terapie precedenti, ha dimostrato benefici in termini di sopravvivenza globale e assenza di progressione della malattia nei sottogruppi a rischio standard e ad alto rischio in tutte le linee di trattamento analizzate.
Oltre al mieloma multiplo, Johnson & Johnson è impegnata anche nella ricerca di altri tumori del sangue, tra i quali la leucemia linfatica cronica (LLC) e il linfoma mantellare. In particolare, ibrutinib – primo inibitore della tirosin chinasi di Bruton (BTK) ad essere stato reso disponibile per il trattamento della LLC – continua a dimostrare benefici per i pazienti affetti da questo tumore ematologico. Al congresso EHA, infatti, sono stati presentati i dati a lungo termine dello studio di fase 2 CAPTIVATE. «I dati del follow-up a lungo termine dello studio clinico di fase 2 CAPTIVATE, presentati all'EHA 2025, confermano l'efficacia e la sicurezza prolungate del trattamento a durata fissa con ibrutinib più venetoclax in pazienti con leucemia linfatica cronica non precedentemente trattata ed età fino ai 70 anni. L'analisi finale dello studio CAPTIVATE ha evidenziato come l'associazione ibrutinib più venetoclax continui a migliorare gli standard di trattamento per questo tumore del sangue, consentendo di ottenere elevate percentuali di pazienti con malattia minima residua non misurabile, un lungo periodo libero da progressione e un ritardo nel tempo alla terapia successiva. I dati del follow up a lungo termine confermano anche l'ottima tollerabilità dell’associazione in questa categoria di pazienti. Ricordiamo, inoltre, che si tratta di un trattamento completamente orale, senza chemioterapia, che permette di non dover ricorrere a ricoveri o infusioni endovenose, migliorando così la gestione della terapia per il paziente, per suoi caregiver e per il centro di cura», sostiene Marta Coscia, Direttrice della Struttura Complessa di Ematologia presso ASST dei Sette Laghi, Professore Associato di Ematologia presso Università degli Studi dell’Insubria.
Nel corso del Congresso ASCO, sono stati presentati i risultati di studi anche nell’ambito dei tumori solidi, quali quelli del polmone e dell’apparato genito-urinario, in particolare prostata e vescica. Per quel che riguarda i tumori dell’apparato genito-urinario, Johnson & Johnson sta cambiando radicalmente il panorama del trattamento del carcinoma uroteliale e di quello prostatico: da un lato, con lo sviluppo della prima target therapy orale per il trattamento del carcinoma uroteliale non resecabile o metastatico con mutazioni FGFR3 che abbiano precedentemente ricevuto almeno una linea di terapia con un inibitore di PD-1 o PD-L1 per malattia resecabile o metastatica, erdafitinib, e dall’altro, proseguendo il percorso di innovazione nel tumore della prostata, con il primo PARP inibitore a doppia azione per il trattamento del carcinoma prostatico metastatico resistente alla castrazione positivo alle mutazioni BRCA1/2, niraparib più abiraterone acetato. Proprio in merito a questa nuova combinazione, sono stati presentati nuovi dati aggiornati sullo studio AMPLITUDE in pazienti con carcinoma prostatico metastatico sensibile agli ormoni (mHSPC) con alterazioni genetiche della riparazione con ricombinazione omologa (HRR), tra cui BRCA.
«Il carcinoma della prostata è il tumore più frequentemente diagnosticato negli uomini in quasi tutti i Paesi dell’Europa settentrionale e occidentale. Nonostante i progressi degli ultimi anni, persiste un importante bisogno clinico di terapie in grado di prolungare la sopravvivenza e ritardare la progressione della malattia nei pazienti affetti da mHSPC (carcinoma della prostata metastatico ormono-sensibile) con alterazioni dei geni di riparazione del DNA (HRR) — circa la metà dei quali presenta mutazioni in BRCA. Questi pazienti tendono ad avere una progressione più rapida della malattia e una prognosi generalmente peggiore. Lo studio AMPLITUDE rappresenta un punto di svolta: è il primo a dimostrare che la combinazione di un inibitore PARP con un inibitore della via del recettore degli androgeni è in grado di ritardare sia la progressione della malattia sia l’insorgenza dei sintomi nei pazienti con mHSPC e alterazioni HRR. Questi risultati supportano l’impiego di tale combinazione come nuova opzione terapeutica per questa sottopopolazione di pazienti ad alto rischio», afferma Luigi Formisano, Professore Associato di Oncologia Medica al Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia presso Università degli Studi Federico II di Napoli.
Nell’ambito del tumore del polmone, in particolare, Johnson & Johnson sta ridefinendo gli standard di cura per il tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC) avanzato con mutazioni dell’EGFR grazie all’anticorpo bispecifico amivantamab. Sulla base dei risultati dello studio PALOMA 3, l’azienda ha di recente ottenuto dalla Commissione Europea l’approvazione di una nuova formulazione di amivantamab in formulazione sottocutanea in combinazione con lazertinib per il trattamento di prima linea di pazienti adulti con NSCLC avanzato con delezione dell'esone 19 dell’EGFR o mutazioni di sostituzione L858R nell’esone 21 dell’EGFR, e come monoterapia in pazienti adulti con NSCLC avanzato con mutazioni da inserzione nell’esone 20 attivanti dell'EGFR dopo il fallimento della terapia a base di platino. «I pazienti con NSCLC e mutazioni dell’EGFR hanno a disposizione poche opzioni terapeutiche, sia per numero che per efficacia. A oggi, prolungare l’aspettativa di vita è un indicatore chiave dell’efficacia di qualsiasi trattamento oncologico e, in quest’ottica, il trattamento con amivantamab più lazertinib ha mostrato delle potenzialità per i pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule e mutazioni comuni EGFR con un’estensione di vita di almeno un anno rispetto all’attuale standard di cura, osimertinib. Le recenti approvazioni europee sottolineano, inoltre, un'esigenza tuttora esistente di approcci terapeutici che siano non solo efficaci, ma anche più convenienti per i pazienti, ottimizzando al contempo l'esperienza clinica. In particolare, la formulazione sottocutanea di amivantamab ha il potenziale di avere un impatto significativo sulla pratica clinica, offrendo ai pazienti una maggiore comodità e una migliore esperienza terapeutica, senza compromettere la comprovata efficacia della formulazione endovenosa», afferma Chiara Bennati, Medico specializzato in Oncologia Medica presso l’AUSL Romagna di Ravenna.
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