E' presente in circa il 5% dei pazienti con tumore al polmone non a piccole cellule
Una mutazione genetica, presente in circa il 5% dei pazienti con tumore al polmone non a piccole cellule, è legata a una risposta più efficace e duratura all'immunoterapia. È quanto dimostra uno studio internazionale coordinato dal Dana-Farber Cancer Institute in collaborazione con l'Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma pubblicato sulla rivista Annals of Oncology. L'immunoterapia ha rappresentato un progresso importante nel trattamento di molti tumori, ma solo una parte dei pazienti ne trae beneficio.
. Il gene è coinvolto in un processo naturale chiamato metilazione, che regola l'attività dei geni senza modificarne il loro codice. La sua mutazione sembra rendere il tumore più riconoscibile al sistema immunitario e, quindi, più vulnerabile all'azione dei farmaci inibitori dei checkpoint immunitari (PD-1/PD-L1). "Questa scoperta ci consente di identificare un sottogruppo di pazienti che può beneficiare in modo particolarmente efficace dell'immunoterapia, rendendo le scelte terapeutiche più mirate e personalizzate", spiega Marcello Maugeri-Saccà, co-autore senior dello studio e ricercatore clinico presso il Clinical Trial Center dell'Ifo. Inoltre, aggiunge Federico Cappuzzo, direttore dell'Oncologia Medica 2 dell'Ire, "dimostra quanto sia strategica la comprensione delle alterazioni molecolari per selezionare meglio i pazienti e massimizzare l'efficacia dell'immunoterapia".
Il 75% dei pazienti con il carcinoma polmonare è stato operato con successo. I dati dello studio internazionale Italia-Usa. La strategia: un mix tra chemio e immunoterapia
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