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Integrazione al minimo Inps: la Corte Costituzionale apre la porta ai trattamenti calcolati col metodo contributivo

Previdenza Redazione DottNet | 30/07/2025 16:04

Sancita l’illegittimità di una parte della Riforma Dini, accogliendo un ricorso della Corte di Cassazione in tema di assegno ordinario di invalidità

Tra i principi fondamentali della Riforma Dini (la famosa legge 335/1995) vi era certamente quello che tutte le prestazioni calcolate con il sistema contributivo non possono essere integrate al trattamento minimo Inps. Questo perché il sistema previdenziale, secondo il legislatore, doveva avere al suo interno dei meccanismi che ne garantissero l’autonoma sostenibilità, e quindi, dato che l’eventuale integrazione è comunque a carico della fiscalità generale, con l’adozione generalizzata del sistema contributivo il minimo vitale deve essere garantito con strumenti di tipo diverso.

Questo principio è stato però intaccato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.

94/2025, che ha sancito l’illegittimità di una parte della Riforma Dini, accogliendo un ricorso della Corte di Cassazione in tema di assegno ordinario di invalidità. L’assegno oggetto dell’interesse della Consulta è una prestazione previdenziale, riconosciuta dalla legge n. 222/1984, ed erogata dall’Inps ai lavoratori dipendenti del settore privato ed autonomi, anche se iscritti alla Gestione Separata. Per quanto riguarda medici e odontoiatri, quindi, gli interessati sono soprattutto i dipendenti di case di cura o comunque di strutture private, anche se convenzionate con il Servizio Sanitario Nazionale.

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Per l’erogazione dell’assegno ordinario di invalidità sono richiesti due requisiti essenziali: 

    • aver versato all’Inps almeno cinque anni di contributi, dei quali almeno tre nel quinquennio precedente alla presentazione della domanda;
    • il riconoscimento di una capacità di lavoro ridotta in modo permanente, a causa di un’infermità o di un difetto fisico o mentale, per meno di un terzo (di qui la frequenza di percentuali di invalidità, in questi casi, dal 67% in su).

L’assegno viene liquidato qualunque sia l’età dell’assicurato e il suo importo è calcolato sulla base dei contributi versati, con sistema contributivo o misto, a seconda del sistema di calcolo della pensione. Dura tre anni e può essere rinnovato fino a tre volte; dopo tre riconoscimenti consecutivi diventa definitivo, salvo controlli medici. La sua caratteristica principale è la compatibilità con i redditi da lavoro dipendente, per cui molti interessati lo cumulano tranquillamente con lo stipendio: in questo caso, però, l’assegno può subire una riduzione, commisurata al reddito prodotto.

La Corte Costituzionale, nella recente sentenza, ha dunque stabilito che esso gode sempre, in presenza dei requisiti legati al reddito, della possibilità di essere integrato al trattamento minimo Inps. E questo non soltanto a chi, come già avviene, ha svolto attività lavorativa prima del 31 dicembre 1995 (regime retributivo o misto), ma anche a chi, finora rimasto escluso, ha lavorato soltanto dal 1° gennaio 1996 in poi (regime contributivo). Per la Consulta, infatti, il sistema di calcolo adottato non può prevalere sulla necessità che l’assegno ordinario di invalidità assolva al disposto dell’art. 38 della Costituzione, cioè garantire al percettore mezzi adeguati alle sue esigenze di vita. Per evitare alla finanza pubblica i pesanti problemi che sarebbero potuti derivare dal pagamento degli arretrati, la Corte ha deciso di far decorrere gli effetti della propria decisione dal giorno successivo a quello della pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta Ufficiale (avvenuta il 9 luglio 2025). Quindi, solo a partire dal mese di agosto 2025, secondo quanto sarà disposto dall’Inps, potranno essere eventualmente integrati all’importo della pensione minima (€ 603,40 mensili) gli assegni calcolati con il solo sistema contributivo.

Ci si chiede se il principio portato dalla sentenza potrà avere effetti anche in altri settori, ad esempio consentendo di integrare al minimo le pensioni contributive dell’Enpam. La risposta allo stato non può che essere negativa, in quanto la Consulta ha circoscritto la sua decisione alla sola fattispecie in esame, fornendo motivazioni specifiche per il solo assegno ordinario di invalidità.

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