Una paziente affetta da occlusione intestinale era stata visitata dal medico di prima reperibilità, il quale, sulla base degli esami rxgrafici ed in presenza di vomito fecaloide, aveva disposto che fosse chiamato il chirurgo di seconda reperibilità.
Questi, giunto in ospedale, dopo avere visitato la paziente, dispose procedersi a terapia di mantenimento con applicazione di un sondino che favorisse la risoluzione spontanea del blocco intestinale, e lasciò il presidio ospedaliero.
Essendosi aggravato il quadro clinico della paziente egli venne richiamato altre due volte per rivalutare il caso ma in entrambi i casi non aderì alla richiesta di intervento, rimandando ogni valutazione al giorno successivo.
Venne, a questo punto, contattato il primario chirurgo che sottopose la paziente ad intervento con esito positivo. Ciò nondimeno dopo qualche giorno la paziente morì.
La Sentenza (Cassazione Penale, Sez. VI, n. 48379 del 30 dicembre 2008)
Il chirurgo in servizio di reperibilità, chiamato dal collega già presente in ospedale che ne sollecita la presenza in relazione ad una ravvisata urgenza di intervento chirurgico, deve recarsi subito in reparto e visitare il malato.
L’urgenza ed il relativo obbligo di recarsi subito in ospedale per sottoporre a visita il paziente vengono a configurarsi in termini formali, senza possibilità di sindacato a distanza da parte del chiamato.
Ne consegue che il rifiuto penalmente rilevante si consuma con la violazione del suddetto obbligo e la responsabilità non è tecnicamente connessa all'effettiva ricorrenza della prospettata necessità ed urgenza dell'intervento chirurgico.
La finalità del divieto è di garantire la massima efficienza e funzionalità operativa all'Ssn, evitando gli effetti negativi di un contemporaneo esercizio, da parte del medico dipendente, di attività professionale presso strutture accreditate
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