Fra gli abitanti delle corsie degli ospedali i più assidui sono proprio quelli che non ci si aspetta. Virus e batteri la fanno da padroni, mietendo più vittime degli incidenti stradali, e nonostante tutti gli sforzi la loro presenza è una costante degli ultimi anni. A gettare una luce sull''epidemia silenziosa' sono gli esperti riuniti nel 9° Congresso annuale della Società italiana di Malattie Infettive e Tropicali (Simit), che si è aperto ieri a Roma. Il ''bollettino di guerra'' fornito durante il congresso afferma che in Italia il 5-8% di tutti i pazienti afferenti alle strutture sanitarie sviluppino una infezione associata a procedure assistenziali (Ipa), pari a 450.000-700.000 casi con 4500-7500 decessi direttamente attribuibili e circa 3.750.000 giornate di degenza per le complicanze infettive acquisite a seguito del ricovero.
Contrariamente a quanto si possa pensare il fenomeno è distribuito abbastanza uniformemente sul territorio, senza il solito gradiente nord-sud. I reparti più pericolosi da questo punto di vista sono le terapie intensive e i reparti di chirurgia. "Questo numero è costante negli ultimi anni - spiega Giuseppe Ippolito, presidente del congresso e direttore scientifico dell'Istituto Malattie Infettive Spallanzani di Roma - ma potrebbe essere ridotto del 30% con un piccolo investimento. Purtroppo le infezioni ospedaliere fanno più vittime degli incidenti stradali". Secondo i dati del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute circa l'80% di tutte le infezioni ospedaliere riguarda quattro sedi principali: il tratto urinario, le ferite chirurgiche, l'apparato respiratorio, le infezioni sistemiche (sepsi, batteriemie). Le più frequenti sono le infezioni urinarie, che da sole rappresentano il 35-40% di tutte le infezioni ospedaliere. Tuttavia, negli ultimi quindici anni si sta assistendo a un calo di questo tipo di infezioni (insieme a quelle della ferita chirurgica) e a un aumento delle batteriemie e delle polmoniti. "Le cause di questa epidemia sono varie - spiega Ippolito - si va dalle carenze strutturali, come la mancanza di lavandini nei reparti per lavarsi le mani, a cattive pratiche da parte degli operatori, che ad esempio non capiscono che lavarsi le mani è un obbligo morale e lo fanno solo nel 20% dei casi. Inoltre per abbassare la quantità di infezioni servirebbero infermiere e medici dedicati al problema, che in ogni reparto studino i casi che si presentano e correggano gli errori. Un infermiere ogni 250-300 pazienti e un medico 'ad hoc' ogni 400 pazienti". Intanto scatta il balletto di cifre sugli errori in corsia, e a far la differenza è soprattutto il numero di morti. Secondo i dati in possesso dell'Aiom (Associazione italiana di oncologia medica), sarebbero 90 i decessi al giorno dovuti a sviste, con un bilancio di oltre 32 mila morti l'anno. A questi si aggiungono le 320 mila persone che, nel nostro Paese, finirebbero per esserne danneggiate. Secondo l'Aaroi (l'associazione degli anestesisti rianimatori), invece, le morti per errori medici e problemi organizzativi si attesterebbero a 14 mila l'anno, mentre per l'Assinfom raggiungerebbero quota 50 mila, e di questi il 50%, secondo l'associazione, poteva essere evitato. Dati discordanti, ma che comunque lasciano di sasso. A fornirli Gianluca Daino, del Dipartimento di ingegneria dell'informazione dell'università di Siena, che, nel corso del V Forum sul Risk Management di Arezzo, ha ripercorso vari studi condotti sullo scottante tema. Mostrando, tra le altre cose, che gli errori in corsia finirebbero per 'rosicchiare' l'1% del nostro Prodotto interno lordo, con una spesa di 10 miliardi l'anno tra costi diretti (ad esempio spese legali e assicurative), indiretti (danno di immagine e demotivazione del personale responsabile) e nascosti (cattiva organizzazione che, ad esempio, produce sprechi).
Modifiche che vengono trasmesse solo per via orale all'infermiere”. Il 23,9% degli errori, poi, avviene in fase di preparazione della terapia.
Da una seconda indagine, sempre svolta dall'ospedale Cardarelli, nell'ambito della chirurgia oncologica basata sulle cartelle cliniche di 81 pazienti è emerso che il 36,4% degli errori riguarda le prescrizioni, il 35,5% la somministrazione dei farmaci, il 21,5% la loro preparazione e il 6% la trascrizione. Negli Stati Uniti esiste una banca dati che raccoglie le segnalazioni di errori medici in ambito oncologico chiamata Quantros MedMarx dalla quale emerge che un errore su quattro riguarda le dosi sbagliate di farmaci (oncologici e non), per il 20,4% dei casi si tratta di errori di trascrizione, per il 7,5% è la somministrazione di farmaci non autorizzati e per il 5,7% si tratta di sbagli nella preparazione del farmaco. Sono dati, secondo Clini, utili ma parziali, dal momento che solo il 30% degli oncologi segnala gli errori commessi. E così 630 milioni di euro in 10 anni hanno dovuto spendere 29 aziende lombarde per risarcire i pazienti da errori e sviste in corsia, spiega Anna Levati, risk manager dell'azienda ospedaliera della provincia di Pavia. I numeri, spiega l'esperta, sono raccolti in un database della Regione Lombardia, e riguardano il decennio 1999-2009. "Sono state 22.605 le richieste di risarcimento - spiega Levati - non necessariamente correlate a eventi avversi. Il 34% è stato liquidato". Il risarcimento massimo, per un problema avvenuto in sala operatoria, ammonta a 3,5 milioni di euro. Segue l'indennizzo per un errore di prescrizione, di ben 3 milioni euro. "Ma siamo comunque lontani - fa notare l'esperta - dai numeri statunitensi. Negli Usa, infatti, il risarcimento medio si aggirava nel 2003 a 4,5 milioni di dollari". Ma cosa vogliono i pazienti che si rivolgono a un Urp scontenti del trattamento a loro riservato? "Il 37% - spiega Levati citando uno studio della Cineas - vorrebbe la testa del medico servita su un piatto d'argento e chiede giustizia per il torto subito. Il 49% vorrebbe delle scuse, il 74% esige spiegazioni, l'80% più attenzione da parte degli operatori. Il 90%, infine, vorrebbe essere sicuro che l'episodio che ha generato il suo malcontento non si ripeta mai più in futuro". Clicchi qui per commentare.
La finalità del divieto è di garantire la massima efficienza e funzionalità operativa all'Ssn, evitando gli effetti negativi di un contemporaneo esercizio, da parte del medico dipendente, di attività professionale presso strutture accreditate
Le richieste puntano sull'adeguamento economico e sulla riorganizzazione del lavoro
Con la graduatoria parte la caccia ai 22mila posti
Nursing Up: "Mai così tante. In nessun ospedale agenti dopo le 24"
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