Un parto cesareo invece che un parto naturale. La richiesta di un intervento per l'inserimento di una protesi d'anca rispedita al mittente se il paziente ha più di 70 anni. Sono solo alcuni degli effetti che in Italia si stanno verificando per il dilagare di un comportamento della classe medica definito 'medicina difensiva', figlio dell'aumento a tre cifre dei contenziosi legali tra pazienti e camici bianchi. Nell'ultimo decennio sono cresciuti del 145% e pesano sulle casse degli ospedali per una cifra pari a 500 milioni di euro all'anno.
E a pagare sono, in primo luogo, gli ospedali, perché 'all'accettazione - afferma Paolo Arbarello, presidente della Società Italiana di Medicina Legale e Assicurazioni (Simla)- si stipula un contratto con il paziente, in cui viene precisato che i risarcimenti sono in capo all'azienda ospedaliera'. Ma la situazione è talmente deteriorata che molti ospedali italiani oggi si trovano senza assicurazione. 'Noi al Policlinico Umberto I siamo in regime di autotutela - aggiunge Arbarello che ha approfondito questo tema nei lavori delle Giornate Medico Legali Romane ed Europee - e siamo costretti a pagare i risarcimenti con i fondi dell'ospedale. Al rinnovo delle polizze, circa un anno fa, le compagnie di assicurazione hanno disertato la gara d'appalto. Ed è una situazione che riguarda anche altri ospedali italiani'. I settori in cui si registra il maggior numero di contenziosi legali sono l'ostetricia e l'ortopedia. Il risultato, secondo Arbarello, è l'alto numero di parti cesarei che 'in media in Italia sono al 35-40%' e la 'diminuzione di interventi per protesi d'anca nei pazienti sopra i 70 anni'.
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