Si torna a parlare di aggregazioni tra medici, di gruppi di lavoro, di associazioni. L’obiettivo è garantire assistenza adeguata e continua ai pazienti, soprattutto a quelli cronici. E così si fanno strada le "aggregazioni funzionali" tra dottori, ovvero l’organizzazione in "unità di cure primarie". Peggio, invece, le "unità complesse di cure primarie" che non decollano, come si evince da un’indagine del Centro studi della Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg), che ha raccolto i dati di 76 sezioni provinciali su 110, pari al 70% del territorio nazionale.
“Il lavoro di squadra tra medici sta diventando una realtà consolidata in molte aree del Paese - dice il responsabile del Centro studi Fimmg, Paolo Misericordia -. In certi casi, quando per esempio il paziente ha una malattia cronica, il medico di famiglia da solo difficilmente può assicurare un servizio adeguato. Col supporto di altri professionisti si agevolano l' integrazione e la continuità delle cure”. Secondo lo studio, le "aggregazioni funzionali" sono presenti in circa la metà del Paese, in prevalenza al Centro (90%) e solo nel 20% del territorio al Sud. In pratica, ciascun dottore lavora nel suo ambulatorio, ma collabora con altri colleghi scambiandosi informazioni sulle cure più appropriate, ricevendo gli assistiti del collega che non è presente in quella fascia oraria, sostituendosi a vicenda in periodi di ferie o malattia. Lo studio della Fimmg evidenzia, tuttavia, la scarsa diffusione delle "unità complesse di cure primarie", che richiedono un' organizzazione strutturata.
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