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Quattro medici su dieci pentiti di aver intrapreso la professione: troppi i danni ricevuti. E in tempo di crisi aumenta il carico di lavoro per il medico di base. All'Mmg presto anche le terapie contro il dolore (legge 38)

Professione Silvio Campione | 16/11/2011 18:52

Quanti medici, magari in un momento di sconforto, si sono pentiti di aver intrapreso questa professione? Secondo un’indagine dell’Ordine dei medici di Roma, quattro giovani medici su dieci, se potessero tornare indietro, non farebbero più la scelta di indossare il camice bianco. A posteriori, infatti, il 40% dei medici afferma che non intraprenderebbe più questa carriera. Questi 'pentiti' del camice denunciano di aver subito, per questa loro scelta professionale, danni sotto vari profili: ritardo nel metter su famiglia, la rinuncia ad avere figli, il mancato raggiungimento dell'autonomia economica e dello status sociale desiderato.

Ai medici under 45 è stato anche chiesto di esprimere un voto (tra zero e 10) che indicasse in che misura percepiscono la stabilità della loro situazione lavorativa. Il voto medio è stato pari a 5 e, cioè, meno della sufficienza. Il voto dato alle prospettive di carriera è più basso: 4,9. E quando c’è la crisi i cittadini rinunciano anche a curarsi, come evidenzia un sondaggio effettuato dall’Istituto Freni Ricerche di Marketing su “Comportamenti in materia di spese sanitarie davanti alla crisi economica”. E così in questi frangenti riemerge la figura del medico di base che alla fine va in soccorso a tutti (perché gratuito, evidentemente). Infatti se la metà circa degli intervistati ha segnalato una riduzione dei comportamenti di consumo nell’ultimo anno e il 17% ha indicato una flessione significativa dei consumi con un 10% che dichiara di aver rinunciato a interventi chirurgici, o di avervi anche solo rinviato, dall’altra parte si registra un incremento della consultazione del medico di famiglia. Che resta il riferimento fondamentale per le informazioni sulla salute e sulla cura del fisico (indicato da 4 intervistati su 5), seguito dalla figura del farmacista (i cui consigli sono particolarmente richiesti dagli under 35) e dalla consultazione dei siti web (più di un intervistato su 4). Intanto agli Mmg sta per arrivare un'altra incombenza: le cure contro il dolore, come specificato nello schema di accordo che pubblichiamo. Ma andiamo per ordine.

Con la legge 38 il ministero della Salute individua requisiti minimi, modalità organizzative, elementi strutturali, quantitativi e qualitativi delle strutture per le cure palliative e la terapia del dolore, in accordo con le regioni. La terapia contro il dolore non ha mai avuto riferimenti normativi che potessero garantire la direzione verso cui rivolgersi. Così è stato individuato un comune denominatore, valido per tutto il territorio, per garantire omogeneità di trattamento a livello nazionale attraverso la definizione dei requisiti minimi per la costruzione della rete di terapia del dolore. Nascono così tre centri di snodo fondamentali (come peraltro già stabilito nell’accordo Stato-Regioni del 16 dicembre 2010): le Aggregazioni funzionali territoriali, i centri Spoke e gli Hub. Le prime, gestite dai medici di medicina generale, devono avere almeno un medico formato sulla terapia dolore, tra i compiti quello di indirizzare, quando necessario e secondo criteri condivisi di appropriatezza, il paziente allo Spoke o all’Hub per garantire continuità della gestione nei percorsi definiti nella rete.
I centri Spoke, con valenza territoriale e ospedaliera, devono avere caratteristiche certificate e accreditate in termini quali-quantitativi (ore di lavoro, numero del personale, ecc).
Il sistema Hub diventa invece il centro di eccellenza con una distribuzione sul territorio proporzionata al numero di abitanti (circa uno ogni due milioni), un numero specifico di posti letto dedicati e deve garantire copertura per tutta la giornata
 

 

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