Sono i medici di famiglia le 'prime sentinelle' dell'epatite C. Sono i 'camici bianchi' sparsi sul territorio ad avere il compito di ''parlare, indagare, suggerire o spingere i propri assistiti a effettuare gli esami necessari a verificare o meno la presenza del virus Hcv''. Ad assegnare il compito di guardiani della salute ai medici di medicina generale è Rafael Esteban, professore di medicina interna all'ospedale universitario Val d'Hebron di Barcellona, intervenuto al congresso dell'European Association for the Study of the Liver (Easl). ''I medici devono essere formati, per conoscere cosa chiedere e quali esami prescrivere, e ogni quanto tempo. Devono sapere quali sono le categorie più a rischio e indurle a maggior attenzione.
Solo in questo modo sarà possibile porre un freno nel Paesi occidentali prima, e poi a livello mondiale, all'epatite C''. Per l'esperto spagnolo ci sono alcuni messaggi importanti da trasmettere. ''Primo, di epatite C si può guarire. Non è una malattia come l'Aids. Secondo - continua Esteban - i costi delle cure sono assimilabili a quelli di terapie contro asma e artrite''. La collaborazione dei medici di medicina generale è tanto più importante perché, se non si arresterà l'aumento di casi di epatite C nel mondo, ''entro il 2030 i casi di cirrosi passeranno dai 472 mila del 2000 a 879 mila. E, nello stesso arco di tempo, le morti per malattie del fegato triplicheranno, passando dalle 13 mila alle 39.875''.
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