Secondo uno studio inglese c'è minor rispetto per i dettami del servizio sanitario
I medici che prescrivono più farmaci omeopatici sembrerebbero avere una minore 'abilità prescrittiva' (nella scelta dei farmaci, nelle dosi prescritte) dei colleghi meno inclini a proporre l'omeopatia ai propri assistiti. Lo sostiene uno studio pubblicato sul Journal of the Royal Society of Medicine e condotto tra University of Oxford e Exeter University da Ben Goldacre, esperto di farmaci e politiche prescrittive e critico sull'efficacia delle terapie alternative (autore del libro sul tema 'La cattiva scienza'). Goldacre ha anche sviluppato un software chiamato Open Prescribing e con questo ha analizzato i comportamenti prescrittivi di 7.618 medici di famiglia britannici.
È emerso che gli oltre 600 camici bianchi che nell'arco di sei mesi (l'estensione temporale di questa analisi) avevano prescritto delle terapie omeopatiche ai propri assistiti, presentavano una "capacità prescrittiva" (misurata, secondo i dettami del servizio sanitario inglese, sulla base di 70 parametri di riferimento come la frequenza di prescrizione di antibiotici, la scelta tra farmaci 'griffati' o dell'analogo generico meno costoso, la prescrizione di dosaggi inefficaci di farmaci contro il colesterolo etc) leggermente inferiore rispetto a quella dei colleghi che non consigliavano medicine omeopatiche ai propri pazienti.
fonte: Journal of the Royal Society of Medicine
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L’art. 85, comma 2, del citato D.Lgs. 219/2006 precisa che l’etichettatura e il foglio illustrativo dei medicinali omeopatici recano obbligatoriamente la frase “senza indicazioni terapeutiche approvate"
Secondo la Suprema Corte non è minimamente dubitabile la riconducibilità del farmaco omeopatico al concetto di medicinale, stante l’ampia definizione allo scopo fornita dal D.Lgs. n. 219 del 2006
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