Adesso c'è una nuova arma: una terapia innovativa che migliora la sopravvivenza nello stadio avanzato
Solo il 10% dei casi di tumore del fegato è diagnosticato in fase iniziale quando l'intervento chirurgico può essere risolutivo. La diagnosi avviene solo alla comparsa dei sintomi o addirittura di metastasi a distanza. In Italia vivono circa 27.745 pazienti con questa neoplasia e si tratta di un tumore con percentuali di guarigione ancora basse: solo il 20% è vivo a cinque anni dalla diagnosi. Oggi per i pazienti con malattia avanzata già trattati si stanno aprendo importanti prospettive terapeutiche grazie a una nuova terapia mirata che migliora la sopravvivenza globale. Lo dimostrano i risultati dello studio CELESTIAL, discussi al Congresso dell'American Society of Clinical Oncology (Asco).
"Nella ricerca sono stati arruolati più di 700 pazienti con carcinoma epatocellulare avanzato, precedentemente trattati – spiega Lorenza Rimassa, Responsabile della Sezione Tumori Apparato Gastroenterico, Oncologia medica ed Ematologia dell'Humanitas di Rozzano -.
In Italia nel 2017 sono stati diagnosticati 12.900 nuovi casi di cancro del fegato (8.900 uomini e 4.000 donne). In controtendenza rispetto alle altre neoplasie, questo tumore fa registrare un maggior numero di diagnosi nel Sud Italia rispetto al Settentrione, in particolare fra le donne (+17%). Il dato si spiega con la prevalenza in queste aree delle infezioni causate dai virus dell'epatite B (HBV) e C (HCV). Questi virus sono le principali cause della neoplasia a livello globale, insieme ad alcol e sindrome metabolica. Per 10 anni, afferma l'esperta, "nel trattamento di questa patologia è stata disponibile una sola terapia mirata, sorafenib, ma negli ultimi due anni lo scenario terapeutico si è arricchito con nuove armi".
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