Il 'linfocita T Helper 17' attivata da batteri patogeni presenti nel cavo orale induce infiammazione gengivale
Scoperto un attore fondamentale della malattia delle gengive, la parodontite: una cellula immunitaria chiamata 'linfocita T Helper 17' che, attivata da batteri patogeni presenti nel cavo orale, induce infiammazione gengivale e col tempo perdita di attacco dentale e perdita di osso. Lo rivela un lavoro pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine e condotto presso il National Institute of Dental and Craniofacial Research (NIDCR) presso i prestigiosi National Institutes of Health americani, in collaborazione con scienziati e clinici della University of Pennsylvania School of Dental Medicine, a Philadelphia. La scoperta potrebbe portare a nuove cure mirate per la parodontite, una malattia molto diffusa che colpisce fino a una persona su due dopo i 30-40 anni e fino al 70% degli over-65.
La malattia è caratterizzata da diffusa infiammazione delle gengive che via via retrocedono lasciando scoperto il dente ed esponendolo all'insulto dei germi e al rischio di perdere sostegno e attacco. Se non curata la parodontite porta a perdita dentale e di osso. La cura prevede attualmente una accurata pulizia dentale con contemporanea eliminazione dei batteri patogeni tramite terapia antibiotica e richiami di igiene periodici dal dentista. "Sappiamo da tempo che i germi presenti in bocca stimolano l'infiammazione dei tessuti gengivali.
"Si tratta di uno studio molto interessante - spiega all'ANSA Cristiano Tomasi, Associato presso il dipartimento di Parodontologia all'Università di Göteborg (Svezia) e membro della Società Italiana di Parodontologia e Implantologia (SIDP) - pur presentando dei limiti soprattutto per la parte su pazienti che include un numero decisamente troppo ridotto di soggetti per tirare delle conclusioni così nette come quelle presentate dagli autori. Cionondimeno - continua - nel nostro dipartimento sono stati pubblicati studi che dimostrano un potenziale ruolo dei 'linfociti T di memoria' nel mantenere l'infiammazione, e questo studio oltre a confermarlo sembra aver individuato il diretto responsabile. Vi sono indubbie potenzialità di ricadute terapeutiche - conclude Tomasi - ma la strada è ovviamente ancora lunga".
fonte: ansa
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