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Riabilitata aducanumab, la molecola che rallenta l'Alzheimer

Farmaci Redazione DottNet | 22/10/2019 19:12

I nuovi dati mostrano che il farmaco al dosaggio più alto riduce le placche e ha effetti sul deficit cognitivo

Alla sperimentazione di questo anticorpo ho dedicato quasi 3 anni di lavoro. Se autorizzato, sarà il primo farmaco che rallenta il declino dei malati di Alzheimer, oltre a modificare morfologicamente il loro cervello, attraverso la rimozione dell' amiloide". A commentare all' AdnKronos Salute l' annuncio di Biogen, che dopo l' analisi di nuovi dati chiederà l' autorizzazione in Usa per aducanumab, è lo scienziato che ha coordinato in Italia i due studi clinici - Engage ed Emerge - condotti sulla molecola.

"La sperimentazione è stata interrotta nel marzo scorso, a causa di risultati giudicati all' epoca deludenti - spiega Sandro Iannaccone, primario di Riabilitazione specialistica disturbi neurologici cognitivi e motori dell' Irccs Ospedale San Raffaele di Milano - ma i primi dati erano relativi ai dosaggi più bassi: il farmaco si è rivelato efficace in quello più elevato". La sperimentazione in Italia "ha coinvolto una ventina di centri dal Nord al Sud del Paese, con più di 200 pazienti. Il 70% assumeva il farmaco e il resto un placebo. Ma noi stessi, a marzo, siamo rimasti stupiti dallo stop dei trial: i risultati non corrispondevano a quello che vedevamo nei nostri pazienti. I nuovi dati - sottolinea Iannaccone - mostrano che il farmaco al dosaggio più alto riduce le placche e ha effetti sul deficit cognitivo. Il fatto è che la sospensione metteva in discussione non solo l' efficacia del medicinale, ma anche il ruolo dell' amiloide nel danno cerebrale. In pratica, si ritornava al punto zero della ricerca, perché sembrava che la molecola riducesse le placche senza però aver effetto sulla malattia".

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Questo metteva in dubbio il ruolo delle placche stesse nell' Alzheimer. "Ora sappiamo che non è così". "Inoltre si era visto che, usando l' anticorpo, si verificava un' infiammazione nelle zone del cervello dove c' era l' amiloide", racconta Iannaccone. Un aspetto che aveva preoccupato. "Poi però si è visto che la risonanza rilevava sì l' infiammazione - precisa lo scienziato - ma il paziente non aveva sintomi". Anzi, l' infiammazione era 'spia' del fatto che il farmaco stava agendo e rimuovendo l' amiloide. Insomma, i nuovi dati hanno permesso di rivedere il primo giudizio su questo prodotto. C' è però un altro aspetto da tener presente. "L' Alzheimer ad un certo punto diventa irreversibile, dunque è cruciale avviare la terapia in una fase precoce: sembra infatti che la finestra terapeutica" sia proprio "nella fase iniziale. Dunque la ricerca internazionale - conclude Iannaccone - ora deve avere come obiettivo anche la messa a punto di sistemi mirati per una diagnosi che sia più precoce possibile". Intanto, da marzo i trial sono stati interrotti in tutto il mondo. "Adesso ci dovranno dire cosa fare", conclude il ricercatore.

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