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Coronavirus: medici troppo esposti. Fimmg, stop ai certificati

Infettivologia Redazione DottNet | 25/02/2020 19:46

Anelli: mancano i dispositivi di sicurezza. Mmg costretto a lavorare con i sintomi. Il virus è partito dall'ospedale di Codogno

"La gestione regionale dell'emergenza coronavirus ha dimostrato di essere inefficace: da Nord a Sud i colleghi lamentano tantissime situazioni nelle quali i medici di medicina generale, continuità assistenziale, sistemi di emergenza, ambulatori, Inps e personale degli Ospedali non sono stati messi nelle condizioni di lavorare in sicurezza". Lo afferma il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo) Filippo Anelli. "Mancano o scarseggiano i dispositivi individuali di sicurezza" che le regioni "non sono riuscite a rifornire".

L'approvvigionamento e la distribuzione di mascherine, camici monouso, guanti, occhiali protettivi e disinfettanti, spiega Anelli, "erano stati affidati alle Regioni, che pur avendo avuto tutto il tempo di prepararsi, vista l'allerta lanciata già ai primi di gennaio e le difficoltà di produzione, non sono riuscite a rifornire tutti i professionisti". Da qui la richiesta di Anelli al premier Conte ed al ministro Speranza di "monitorare in ogni Regione la consegna dei dispositivi di protezione ai medici e al personale sanitario; coordinare a livello centrale la distribuzione di tale materiale; infine, se necessario, modificare gli assetti organizzativi, di modo che si rendano operativi soltanto i sanitari che siano messi in grado di lavorare in sicurezza".

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"Più in generale - chiarisce - questa emergenza sanitaria ha purtroppo portato allo scoperto alcune criticità della potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni in materia di Salute. Plaudiamo quindi al Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che ha proposto un protocollo condiviso con tutte le Regioni, ricomponendo un'unitarietà nazionale della quale il Paese ha quanto mai bisogno. Occorrono indicazioni univoche, a livello di procedure evidence based e di assetti organizzativi". Inoltre, "chiediamo ora alle Regioni di intensificare la collaborazione, facendo un passo indietro, senza rinunciare alle loro prerogative ma anzi mettendo a disposizione le loro competenze per la stesura di linee guida unitarie - aggiunge -. E chiediamo al governo di assumere, in questo momento, che è un vero banco di prova per il Paese, il coordinamento delle azioni e delle organizzazioni".

"Si parla in questi giorni di 'medici-eroi', e questo è vero, perché eroico è lo spirito con il quale affrontano l'emergenza, i turni massacranti, le carenze organizzative per continuare a garantire le cure. Non devono però diventare martiri, schiacciati da tali carenze dovute a politiche discontinue e disuguali sul territorio. Perché non è giusto - conclude Anelli - e anche perché, se un medico si ammala, è un medico sottratto al Servizio sanitario nazionale, una risorsa sottratta alla tutela del diritto alla Salute dei cittadini".

Certificati: solo con le protezioni

Gli italiani hanno capito e il triage telefonico con i medici di base sta funzionando. Quello che invece rischia di compromettere l'efficacia delle misure di contenimento del Covid-19 sono gli adempimenti burocratici, come le certificazioni di malattia per l'Inps, che prevedono la visita diretta del paziente. Visite che a tutt'oggi i medici di famiglia si trovano obbligati ad eseguire senza alcuno strumento di protezione. A denunciarlo è Silvestro Scotti, presidente della Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg).

"Nelle zone gialle e rosse il problema sono le certificazioni di malattia, che prevedono la constatazione diretta del medico, che in caso contrario incorrerebbe in un reato penale", spiega Scotti, che si chiede anche: "Se l'Inps ha bloccato le visite fiscali finché i medici non avranno i dispositivi di protezione, perché noi medici di famiglia dobbiamo continuare a farle, senza alcuna protezione?". Da parte sua Scotti ha deciso di fare ugualmente i certificati, senza visita, "dopo di che andrò ad autodenunciarmi. Non si possono esporre al contagio i medici di famiglia per un'azione amministrativa. Tra l'altro quelli di noi che ora sono in quarantena nelle zone colpite, non sono stati sostituiti".

Di fatto i medici di famiglia "si trovano a mani nude sul territorio. Anche se le linee guida regionali lombarde sono ottime, di fatto mascherine, guanti e tute ancora mancano. Io stesso avevo provato a comprarli su Amazon, ma me li dava disponibili dopo il 20 marzo". I cittadini italiani hanno invece già mostrato di aver recepito le nuove indicazioni di non recarsi nello studio del medico di base, ma di consultarsi prima telefonicamente con lui. Tante le telefonate, gli sms e le richieste arrivate anche per whatsapp ai medici di famiglia, a cui è stato chiesto di allargare la reperibilità telefonica. In questa fase il problema vero, conclude Scotti, "non è la gravità dell'infezione, ma che è molto contagiosa e se colpisce una popolazione troppo ampia, i casi più gravi e complessi che si ammaleranno rischieranno di far saltare il sistema sanitario".

Pieno sostegno da parte della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (Fnomceo) alla proposta di autorizzare i medici di base delle zone a rischio Covid-19 a redigere i certificati di malattia "sulla base del solo dato anamnestico, raccolto telefonicamente, quindi senza visita domiciliare o ambulatoriale": la proposta è stata presentata oggi al presidente del Consiglio dal segretario generale della Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg), Silvestro Scotti.

"Questa procedura permetterebbe di tutelare i medici di medicina generale da contagi resi molto probabili dalla mancata fornitura, da parte delle Regioni, dei dispositivi individuali di protezione", rileva in una nota il presidente della Fnomceo, Filippo Anelli. Gli eventuali contagi, prosegue, avrebbero "considerevoli effetti a cascata sulla popolazione. E questo, sia per la quarantena imposta al professionista, che lo sottrae ai suoi assistiti, proprio in un momento di carenza di medici di questa disciplina. Sia, soprattutto, per il pericolo di veicolare - da parte del medico stesso o del malato che soggiorna nella sala d'attesa- l'infezione agli altri pazienti, specie ai più fragili, perché anziani o con co-morbilità".

  Si verrebbe inoltre a creare "una ingiusta sperequazione tra i medici di medicina generale e i medici Inps, fiscali e delle strutture territoriali, per i quali l'Istituto ha disposto, per analoghi e giusti motivi, la sospensione temporanea delle visite assistenziali e previdenziali presso le Unità Operative complesse medico-legali delle zone individuate a rischio". Per Anelli "siamo di fronte a una disuguaglianza di tutele tra medico e medico. Una disuguaglianza che, come Ordine, non possiamo accettare: tutti i medici sono uguali e preziosi, e vanno messi in condizione di lavorare in sicurezza, per la sicurezza della collettività".

Io medico di base con i sintomi ma costretto a lavorare

'Costretto a lavorare' anche se può mettere a rischio la salute dei suoi pazienti. E' quanto accaduto ad un medico di famiglia di Izano, comune in provincia di Cremona vicinissimo alla zona rossa del lodigiano. Oggi, pur presentando sintomi compatibili con il coronavirus dopo aver visitato nei giorni scorsi due persone che lavorano a Codogno, è stato costretto dall'Ats a lavorare ugualmente, anche se lui voleva mettersi in autoisolamento. Nicola Di Pasquale, questo il suo nome, vive a Milano ma lavora appunto in provincia di Cremona.

"Ho visitato questi due pazienti quando ancora non era emerso il focolaio di Covid-19 nel lodigiano. Si tratta di due persone che vivono a Izano, comune a pochissimi chilometri da Codogno, dove si recano per lavorare e sono state in contatto con persone risultate positive", racconta. A loro aveva diagnosticato una polmonite virale. Oggi anche lui presenta sintomi che potrebbero essere dovuti al coronavirus, cioè "faringite, congiuntivite e qualche decimo di febbre da un paio di giorni". Per evitare di mettere a rischio i suoi pazienti voleva mettersi in quarantena volontaria, ma "l'Asl mi ha detto che non c'è la possibilità di un sostituto - continua Di Pasquale - e non potevo interrompere il mio servizio".

Così stamattina "sono dovuto venire ugualmente nel mio ambulatorio, dove tra l'altro ancora non mi è arrivato alcun dispositivo di protezione, né mascherine, guanti o tute. In questo modo però posso mettere a rischio la salute dei miei pazienti". Poco chiare anche le indicazioni ricevute su come comportarsi. "Ho chiesto se devo farmi il tampone - aggiunge - ma al momento l'Ats mi ha detto di non sapere quale fosse la procedura e sto attendendo una risposta". Poca anche la chiarezza sulle indicazioni da dare ai pazienti. Contrariamente alle linee guida date a livello regionale, che invitano i cittadini a non andare nell'ambulatorio del medico di famiglia, e a rivolgersi a lui con contatto telefonico, "alcuni funzionari dell'Ats ci hanno detto che comunque devono venire in ambulatorio".

Molto critico anche Silvestro Scotti, presidente della Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg): "A Lodi 7 medici sono in quarantena ma non sono stati sostituiti, e i loro pazienti non sono stati presi in carico da altri. Ho segnalato la cosa all'assessore al Welfare, Giulio Gallera, che ha detto che si attiverà. E' una situazione da gestire, perché se si ammalano i medici che succede?".

L’Ospedale di Codogno partenza del focolaio

E' ormai appurato che sia l'ospedale di Codogno, dove il 16 febbraio è arrivato una prima volta il paziente 1, il centro del focolaio del coronavirus nel Nord Italia. Una struttura importante con 13 reparti inclusa la terapia intensiva e l'unità coronarica. Da qui sono passati quasi tutti i contagiati lombardi, e anche tre in Emilia Romagna e uno torinese. E sull'ospedale ieri il premier Conte ha puntato il dito, dicendo che all'origine di uno dei focolai c'è stata la gestione "di un ospedale" non in linea con i protocolli.

Affermazioni poi rettificate e che il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana respinge categoricamente: "Ritengo questa affermazione un errore e infatti il presidente Conte ha oggi stesso rettificato: l'ospedale di Codogno non ha commesso nessun errore, ha rispettato i protocolli del ministero e anzi, ha fatto un passo in più. Ed ecco perché mi sono un attimino innervosito". Se dall'ospedale al centro delle polemiche si limitano a dire "non siamo autorizzati a rilasciare dichiarazioni", Codogno si stringe intorno a chi lavora nella struttura: "All'ospedale di Codogno sono degli eroi, lavorano ininterrottamente da giorni, so di una persona che è da venerdì in servizio in reparto con moglie e figli a casa che non la vedono da allora".

"Ogni volta che sento un'ambulanza mi si stringe il cuore" aggiunge una paesana. "Sono stati eroici" concorda il prefetto di Lodi Marcello Cardona. E' al pronto soccorso di Codogno che domenica 16 febbraio viene visitato e poi mandato a casa il paziente 1, il 38enne poi risultato positivo al coronavirus. "So che è stato fatto il terzo grado a chi lo ha visitato, per capire perché sia stato lasciato tornare a casa, ma lui in quel momento - ha raccontato un infermiere - sembrava tranquillo, forse non pensava che a Codogno potesse arrivare una cosa del genere, comunque so che non aveva dato indicazioni particolari, a parte un viaggio a New York fatto a dicembre. Anche la famosa cena con l'amico rientrato dalla Cina è venuta fuori solo dopo. Comunque abbiamo capito che i contagi sono avvenuti al pronto soccorso".

Il 38enne torna in ospedale due giorni dopo e la moglie in quel momento ricorda la famosa cena con l'amico tornato dalla Cina, che poi risulta non essere il famoso paziente zero, al momento non ancora trovato. A questo punto l'uomo viene sottoposto al tampone, che risulta positivo, così come quello della moglie. Il 38enne viene ricoverato e poi trasferito al San Matteo di Pavia mentre la moglie, incinta di 8 mesi, viene portata al Sacco di Milano. Le condizioni di lui, ricoverato in rianimazione, sono gravi ma stabili, mentre lei - incinta all'ottavo mese - "sta bene, ha fatto l'ecografia e la gravidanza procede bene, la bambina sta bene e la gravidanza arriverà a termine" come riferito da un amico della coppia.

Tra i primi contagiati ci sono persone direttamente a contatto con il 38enne, a partire dalla moglie, e poi via via le persone incrociate al pronto soccorso (subito chiuso alla scoperta del virus), operatori sanitari compresi. Tutti hanno fatto il tampone e sono stati messi in isolamento, anche a casa. Del paziente1 sono poi stati ricostruiti gli spostamenti. Sportivo e dalla vita molto attiva, nei giorni prima di sentirsi male aveva giocato a calcio e corso gare podistiche: tutti quelli che sono venuti a contatto con lui sono stati contattati dalle autorità sanitarie. "Attualmente i ragazzi del Picchio Calcio sono stati sottoposti chi in ospedale chi direttamente a casa a tampone. Ad ora risultano 6 persone contagiate dal Virus" hanno fatto sapere i compagni di squadra, mentre a quelli della squadra avversaria non è stato fatto il tampone, così come ai compagni di corsa.

Identikit dell'ammalato

È quella degli anziani la fascia di popolazione più fragile in Italia rispetto alla Covid-19. Undici le vittime, secondo l'ultimo bilancio, con la donna morta all'ospedale di Treviso. Tutti avanti con l'età e con patologie pregresse. Mentre dall'influenza "possiamo proteggerli con il vaccino" non essendoci il vaccino per il Coronavirus "c'è la mortalità". "L'unica maniera per proteggerli è circoscrivere i focolai come si sta facendo". A tracciare il quadro è stato il direttore del dipartimento malattie infettive dell'Istituto Superiore di Sanità durante la conferenza stampa alla Protezione civile, Giovanni Rezza che ha spiegato:

"In Italia c'è una popolazione anziana e si spiegano così i tassi di mortalità del 2-3 per cento. Gli anziani sono più fragili, lo vediamo con l'influenza", ha detto.   Da parte dell'Organizzazione mondiale della Sanità il calcolo della percentuale del rischio di morte se infettati da Covid-19 evidenzia che al primo posto con il 14,8% di rischio c'è la fascia degli ultraottantenni, percentuale che scende all'8% tra i 70 e i 79 anni per poi crollare, sempre come percentuale di rischio di mortalità, al 3,6% tra i 60 e i 69 anni, all'1,3% tra i 50 e i 59 anni per arrivare a zero vittime nella fascia tra 0 e 9 anni.   Secondo il maggiore studio epidemiologico realizzato su oltre 44 mila casi di nuovo coronavirus nella Repubblica popolare, pubblicato dal Chinese Journal of Epidemiology, il numero più alto di decessi per Covid-19 c'è stato tra persone con più di 80 anni. E dai geriatri italiani arrivano le raccomandazioni.  "Nell'anziano l'infezione da Covid-19 può essere più aggressiva, come per altre infezioni virali, perché la senescenza del sistema immunitario e le malattie croniche espongono gli individui in età avanzata a un rischio non di maggior contagio ma di sviluppare un'infezione decisamente più grave", spiega Raffaele Antonelli Incalzi, presidente della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (Sigg).

I consigli sono di non esporsi al freddo, che facilita la diffusione del virus, e di essere attenti ai sintomi per valutarli "con razionalità e senza paura". Febbre, astenia con eventuali dolori muscolari e - meno - tosse secca sono i sintomi classici. "L'impronta prettamente respiratoria (affanno e tosse con catarro) non è comune all'esordio, lo diviene tardivamente".  Tra i segni comuni non solo l'età avanzata delle vittime italiane per coronavirus ma anche importanti patologie pregresse, in alcuni casi con un quadro clinico già compromesso.

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