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Col regime forfettario non conviene il riscatto laurea

Previdenza Redazione DottNet | 03/07/2020 19:36

A partire dal 2020 sono stati esclusi dall’accesso a questo regime coloro che nell’anno precedente hanno percepito redditi di lavoro dipendente

Sono in molti i professionisti che, per sottrarsi alla voracità del Fisco, usufruiscono di regimi tributari agevolati, in primis del cosiddetto regime forfetario.

Accedono al regime forfetario, come spiega l’Agenzia delle Entrate, i contribuenti che nell’anno precedente hanno, contemporaneamente:

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  • conseguito ricavi o percepito compensi, ragguagliati ad anno, non superiori a 65.000 euro (se si esercitano più attività, contraddistinte da codici Ateco differenti, occorre considerare la somma dei ricavi e dei compensi relativi alle diverse attività esercitate);

  • sostenuto spese per un importo complessivo non superiore a 20.000 euro lordi per lavoro accessorio, lavoro dipendente e compensi a collaboratori, anche a progetto, comprese le somme erogate sotto forma di utili da partecipazione agli associati con apporto costituito da solo lavoro e quelle corrisposte per le prestazioni di lavoro rese dall’imprenditore o dai suoi familiari.

Anche chi inizia un’attività può accedere al regime forfetario, comunicando nella relativa dichiarazione ai fini Iva di presumere la sussistenza dei requisiti.

Purtroppo a partire dal 2020 sono stati esclusi dall’accesso a questo regime coloro che nell’anno precedente hanno percepito redditi di lavoro dipendente e/o assimilati (cioè le pensioni) di importo superiore a 30.000 euro, tranne nel caso in cui il rapporto di lavoro dipendente nell’anno precedente sia cessato (sempre che in quello stesso anno non sia stato percepito un reddito di pensione o un reddito di lavoro dipendente derivante da un altro rapporto di lavoro). Dalla platea sono quindi usciti ad esempio tutti quei medici in pensione che continuavano a svolgere in modo marginale una certa attività (inferiore ai 65.000 euro di legge) e applicavano ai loro compensi una flat tax del 15%, e ciò ha portato alla chiusura di numerose partite Iva, già prima dell’emergenza Covid.

Già, perché il vantaggio del regime forfetario è che chi lo applica determina innanzitutto il reddito imponibile applicando, all’ammontare dei ricavi conseguiti o dei compensi percepiti, il coefficiente di redditività previsto per l’attività esercitata (come previsto nella legge n. 145/2018 e che rappresenta appunto un forfait delle spese sostenute). Quindi, dal reddito determinato forfetariamente si deducono i contributi previdenziali obbligatori, compresi quelli corrisposti per conto dei collaboratori dell’impresa familiare fiscalmente a carico. Infine, al reddito imponibile si applica un’unica imposta, nella misura del 15%, sostitutiva di quelle ordinariamente previste (imposte sui redditi, addizionali regionale e comunale, Irap), che scende addirittura al 5% per i primi cinque anni di una nuova attività.

Un vero e proprio paradiso per chi ha la fortuna di potervi accedere, ma anche un regime che cambia le prospettive fiscali dei singoli. Infatti, mentre i professionisti a tassazione ordinaria sono sempre alla spasmodica ricerca di qualcosa da dedurre o detrarre fiscalmente, chi aderisce al regime forfetario non ha più questo interesse, perché la deduzione è già insita nel forfait applicato.

La questione è venuta prepotentemente alla luce il 25 giugno scorso alla Camera, quando il sottosegretario del Ministero delle Finanze Alessio Maria Villarosa ha risposto alle interrogazioni in Commissione Finanze. Villarosa ha infatti ribadito il principio che il costo del riscatto di laurea non è deducibile per i contribuenti in regime forfetario, ovviamente fatta eccezione per il caso in cui oltre ai redditi professionali e di impresa l’interessato sia titolare di altri redditi rilevanti ai fini Irpef, ai quali agganciare la specifica deduzione. Questa valutazione può essere ovviamente applicata sia al riscatto agevolato introdotto per i contribuenti Inps dal decreto legge 4/2019 (€ 5.241,30 per ogni anno da riscattare con un massimo di cinque), ma anche al normale riscatto Enpam. In entrambi i casi l’appeal dell’istituto è legato anche al fatto che il suo costo per quasi la metà si traduce in un risparmio fiscale nella denuncia dei redditi dell’anno successivo, opportunità che i contribuenti in regime forfettario non hanno.

Con riferimento ai riscatti Enpam, che hanno una notevole flessibilità, è quindi consigliabile per i forfetari valutare una strategia che massimizzi il beneficio, facendo la domanda il prima possibile (generalmente occorrono 10 anni di servizio) e scegliendo all’inizio la massima rateazione, per poi accelerare i tempi una volta terminato il regime agevolato e acquisito quindi il diritto alla deduzione.

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