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Scoperte le proteine che proteggono le sinapsi

Neurologia Redazione DottNet | 21/07/2020 17:58

Il risultato potrebbe portare a nuove cure contro l'Alzheimer

Sono stati scoperti i protettori delle sinapsi, le strutture grazie alle quali gli impulsi elettrici possono passare da un neurone all'altro. La scoperta di questa classe specifica di proteine è stata realizzata dal Centro di scienze sanitarie dell'Università del Texas a San Antonio ed è stata pubblicata sulla rivista scientifica Nature Neuroscience. Secondo i ricercatori questo risultato, per ora notato sulle cavie, potrebbe avere implicazioni per la cura del morbo di Alzheimer e della schizofrenia. Infatti, se questo approccio dovesse poi essere confermato anche in altre fasi della ricerca, aumentare il numero di queste proteine protettive potrebbe portare alla nascita di una nuova terapia in grado di gestire queste patologie. Nell'Alzheimer, la perdita di sinapsi porta a problemi di memoria e ad altri sintomi clinici. Nella schizofrenia, invece, le perdite di sinapsi durante lo sviluppo predispongono le persone a una serie di altri disturbi.

"Le proteine del sistema del complemento sono depositate sulle sinapsi - spiega Gek-Ming Sia, autore senior dello studio - Durante la fase dello sviluppo agiscono come segnali che invitano le cellule immunitarie (chiamate macrofagi) a venire a mangiare le sinapsi in eccesso.

Abbiamo scoperto proteine ;;che inibiscono questa funzione ed agiscono essenzialmente come segnali" in grado di dire "'non mangiarmi' per proteggere le sinapsi dall'eliminazione". Proprio durante la fase dello sviluppo, le sinapsi vengono prodotte in eccesso. Tra i 12 e i 16 anni ce n'è il maggior numero e da allora e fino a circa i 20 anni, c'è una loro eliminazione netta. Negli adulti, i numeri delle sinapsi sono stabili: la loro eliminazione e la loro formazione si bilanciano. Ma in alcune malattie neurologiche, invece il cervello è in qualche modo ferito e inizia a produrre in eccesso quelle proteine che causano un'eccessiva perdita di sinapsi. "Ciò si verifica in particolare nella malattia di Alzheimer", spiega Sia

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fonte:  Nature Neuroscience

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