Per la Suprema Corte se la condotta imperita dei medici è solo uno dei possibili fattori scatenanti, i sanitari non rispondono dell'intero danno
Quando il medico svolge in maniera imperita la propria attività professionale, è ormai evidente che è tenuto a risarcire i danni derivanti da tale imperizia. Si tratta di un assunto certo rispetto al quale però la Corte di Cassazione, con l'ordinanza numero 17689/2020 ha implicitamente fatto una precisazione in più. Confermando le conclusioni alle quali era giunto il giudice del merito, la Corte ha infatti escluso che sussista il nesso causale tra una singola attività professionale e la complessiva finale patologia che residua al paziente e che è caratterizzata da una eziopatologia multifattoriale ovverosia è derivata da molteplici fattori predisponenti e perpetuanti.
Il caso di specie riguarda la richiesta di risarcimento dei danni di una paziente di uno studio di odontoiatri, che non avevano individuato la cura per la patologia preesistente della signora. All’esito di diversi interventi la patologia sfociava in un disordine cranio mandibolare che cagionava alla ricorrente una sintomatologia algica cronica e importanti deficit funzionali.
La corte d’appello territoriale respingeva la domanda dell’appellante, ritenendo insussistente alcun nesso causale. La danneggiata ricorreva quindi in Cassazione. La Suprema Corte nel premettere che il ricorso andava rigettato, osservava che: “l’assenza di un collegamento causale tra condotta dei sanitari e danni permanenti non riconosciuti appunto come risarcibili, in quanto postumi permanenti diversi e ulteriori rispetto alla patologia durante la protratta e pure imperita terapia riabilitativa”.
Alla luce di questo la Suprema Corte riteneva inutile un ulteriore esame della quaestio facti infatti scriveva: “il motivo attinente al travisamento dei fatti è inammissibile, prima che infondato, poiché non identifica il motivo d’appello nei termini in cui era stato proposto e fatto su cui si sarebbe omessa la motivazione, ma pure perché evoca risultanze istruttorie e postula la rivalutazione della quaestio facti ; del resto, l’esame della consulenza tecnica vi è stato e non è stato omesso, mentre il nesso causale non è stato escluso completamente ma limitatamente allo stato patologico complessivamente residuato , per essere riconosciuto almeno per l’inabilità temporanea causata dall’erogazione di terapie inutili o inadeguate; mentre ogni altro argomento sull’entità o sul grado della colpa professionale non può certo ricondursi , riguardando una questione giuridica , al vizio denunciato”.
In altre parole, non può affermarsi la sussistenza di un collegamento causale tra la condotta dei sanitari e i danni permanenti rispetto ai quali il trattamento imperito del medico si è posto solo come uno dei possibili fattori scatenanti. In tali ipotesi, in ogni caso, il nesso causale non va escluso in assoluto ma "limitatamente allo stato patologico complessivamente residuato, per essere riconosciuto almeno per l'inabilità temporanea causata dall'erogazione di terapie inutili o inadeguate".
Nel caso di specie, a essere contestata era una protratta e imperita terapia riabilitativa: a non essere riconosciuti dal giudice sono stati i danni permanenti diversi e ulteriori rispetto alla patologia durante tale terapia.
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