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Riforma pensioni, ecco gli scenari

Previdenza Redazione DottNet | 19/10/2020 20:21

Quota 100 sarà abolita: si fanno strada più ipotesi, tra cui Quota 102

Pensioni, la riforma si avvia a grandi passi verso la conclusione. Di sicuro non ci sarà Quota 100, risultata troppo costosa per le casse dello Stato e nemmeno troppo apprezzata dagli interessati visto che le richieste sono state inferiori alle attese. Per giunta non ha neppure facilitato il ricambio generazionale che era uno degli obiettivi del provvedimento. Lo stop a quota 100 andrà a colpire i nati nel 1960, che compiranno i 62 anni nel 2022 e coloro che hanno iniziato a lavorare nel 1984, che matureranno i 38 anni di contribuzione sempre nel 2022. In pratica, senza alcuna riforma e con le regole in vigore, andranno quasi tutti in pensione verso i 67 anni. Giova intanto ricordare che per il triennio 2019-2021, è possibile, su richiesta, conseguire il diritto alla pensione anticipata al raggiungimento di un’età anagrafica di almeno 62 anni e di un’anzianità contributiva minima di 38 anni, in anticipo, dunque, rispetto ai requisiti previsti per la pensione di vecchiaia (67 anni) o per quella anticipata (42 anni e dieci mesi gli uomini, un anno in meno per le donne). L'operazione ha tuttavia un costo, che tradotto in soldoni diventa una pensione più bassa di quella che spetterebbe con i requisiti ordinari con una perdita che va dal 2-3% al 14%.

Tra le soluzioni in vista ci sono due proposte giudicate più papabili: la prima prevede di far salire la quota da 100 a 102 e l’altra di rendere possibile il pensionamento a qualsiasi età ma avendo maturato almeno 41 anni di contributi, una soglia un po’ più bassa di quella attualmente prevista per la pensione anticipata. Ecco che cosa cambierebbe. Con Quota 102, che andrebbe a regime nel 2022,  si potrà andare in pensione a 64 anni di età con 38 di contributi (totale 102). Il meccanismo è più o meno simile a 100 con l’unica differenza dell’età anagrafica più alta: 64 anni e non più a 62. L’anticipo medio ottenibile è di 2 anni e 7 mesi. Anche in questo caso la pensione sarà più bassa. Secondo le elaborazioni di Progetica, l’anticipo di un anno di pensione porta ad una riduzione dell’assegno di circa il 4%, che può arrivare fino al 15% per chi anticiperebbe di 3 anni e 8 mesi con Quota 102.

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Quota 102, inoltre, farebbe sentire i suoi benefici su un più ampio numero di soggetti. L'erede di Quota 100 prevederebbe l’accesso alla pensione con almeno 64 anni di età e 38 anni di contributi. I più fortunati guadagnerebbero quasi 4 anni rispetto alle normali regole, a patto di rinunciare al 15 per cento dell’assegno. La barriera dei 38 anni di contribuzione sarebbe un po’ più semplice da raggiungere rispetto ai 41 anni richiesti dall’altra ipotesi oggi allo studio, si legge sul Corriere, ma probabilmente finirebbe per premiare in prevalenza uomini e dipendenti. Come in Quota 100, la riduzione dell’assegno pensionistico sarebbe la diretta conseguenza di interrompere anticipatamente il lavoro: meno contributi si versano, minore è la pensione; più giovani si è al momento della pensione, maggiore è l’attesa di vita, minore è l’assegno pensionistico.

Il massimo beneficio in termini temporali si avrebbe per coloro che hanno iniziato a lavorare in media verso i 25 anni, per poi andare a ridursi sia all’aumentare che al diminuire dell’età di inizio contribuzione al netto di pause contributive e riscatti. Non cambierebbe nulla solamente per i lavoratori che hanno iniziato a lavorare più tardi, a 28 anni e dopo il 1996 nelle simulazioni, che potrebbero continuare a beneficiare del più favorevole requisito di pensione anticipata contributiva (64 anni e più). Nella simulazione è stata ipotizzata un’adozione stabile per tutte le generazioni e non semplicemente una misura temporanea triennale come è stata Quota 100. Una maggior platea di lavoratori significherebbe un maggior costo complessivo: la fattibilità di questa ipotesi dipenderà pertanto in buona parte dalla sua sostenibilità.

fonte Corriere della Sera

Un'altra idea sarebbe la pensione anticipata con «quota 41», oggi riservata ai soli lavoratori precoci, coloro che possiedono almeno 12 mesi di contributi da effettivo lavoro accreditati prima del 19° anno di età e che, per giunta, appartengono a una delle seguenti categorie tutelate: caregiver (coloro che assistono da almeno 6 mesi un familiare convivente, entro il primo grado, in casi specifici anche entro il 2° grado, portatore di handicap grave), invalidi civili dal 74%, disoccupati di lungo corso, addetti ai lavori gravosi, usuranti e notturni. Igoverno pare disponibile, riporta il Corriere, alla richiesta dei sindacati di inserire la possibilità di pensione anticipata («quota 41») per i «lavoratori fragili», come ipotizzato nelle scorse settimane, indentificandoli nei malati immunodepressi, riceventi o in attesa di trapianto, diabetici, cardiopatici pazienti in dialisi. Nonché i soggetti che non possono prestare attività lavorativa perché giudicati inidonei al lavoro o che siano stati licenziati per superamento del periodo di comporto (6 mesi), e coloro che sono impegnati in settori con un più alto rischio di contagio come la sanità e i trasporti.

Quota 41 comporterebbe fino a quasi tre anni di anticipo, con un calo dell’assegno pensionistico del 10 per cento.Nel dettaglio si tratterebbe di sostituire gli attuali requisiti di pensione anticipata, oggi pari a 41 anni e 10 mesi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini, con un nuovo requisito unico pari a 41 anni di contribuzione, senza ulteriori adeguamenti per l’aumento della speranza di vita Quota 41 sarebbe un’iniziativa che premierebbe in particolare chi ha iniziato a lavorare presto e con continuità, entro i 22, massimo 25 anni. Per chi inizia tardi, oppure accumula tante pause contributive, questa riforma non avrebbe alcun effetto: si continuerebbe ad andare in pensione con il requisito di vecchiaia (67 anni e più in base alle speranze di vita), oppure con quello di pensione anticipata contributiva (64 anni e più sempre in base alle tendenze demografiche). Questo dato spiega gli «zero» nella colonna di chi ha iniziato a lavorare a 28 anni.

Chi più ne beneficerebbe sarebbero invece i lavoratori precoci o i laureati che riscattano gli anni di studi. Resta da chidersi chi sono i lavoratori in grado di raggiungere 41 anni di contribuzione. Si tratta soprattutto di uomini, per lo più dipendenti o dipendenti pubblici, ad avere le maggiori possibilità. Quota 41 si configurerebbe quindi come una norma che andrebbe a premiare delle specifiche fasce di lavoratori, così come faceva Quota 100. Le simulazioni suggeriscono infine che, dal punto di vista dell’equilibrio generazionale, con un’età di inizio lavoro a 22 anni, il beneficio maggiore spetterebbe ai più giovani, che grazie al nuovo requisito fisso risparmierebbero i futuri adeguamenti per l’aumento della speranza di vita. Al massimo aumento temporale corrisponde il massimo calo dell’assegno pensionistico: non per una penalizzazione esplicita, ma semplicemente perché con il sistema di calcolo contributivo, prima si smette di lavorare, minore è la pensione.

Intanto il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo ha confermato la proroga ancora per tutto il 2021 di opzione donna, il meccanismo che permette alle donne lavoratrici, sia dipendenti che autonome, di andare in pensione prima a 58 e 59 anni con almeno 35 anni di contribuzione. In questi casi il calcolo della rendita avverrà con il metodo «contributivo», decisamente meno vantaggioso di quello «retributivo»: si perde una quota di pensione tra il 25 ed il 30%. Peraltro, la riapertura della «pensione anticipata rosa» non dovrebbe presentare grossi problemi di spesa. Potrà infatti essere finanziata dai risparmi registratisi dalla differenza tra le risorse a suo tempo stanziate e quelle effettivamente utilizzate.

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