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Cancro della prostata, con il Covid-19 persa una diagnosi su due

Urologia Redazione DottNet | 24/02/2021 15:12

“Si tratta del secondo tumore con maggior incremento annuo (+3.4%), dopo il melanoma (+7.3%) per gli uomini under 50"

Una diagnosi su due persa dall’inizio della pandemia, 36.000 quelle attese per il 2020, con potenziali, gravissime ricadute sull’incremento di nuovi casi in stadi più avanzati della malattia nei prossimi anni. Ecco il cancro alla prostata al tempo del Covid-19, fotografato oggi, nel corso di una conferenza stampa virtuale, dalla Fondazione PRO. “Si tratta del secondo tumore con maggior incremento annuo (+3.4%), dopo il melanoma (+7.3%) per gli uomini under 50 – riferisce il Prof. Vincenzo Mirone (nella foto), ordinario di Urologia dell’Università Federico II di Napoli e Presidente di Fondazione PRO -. In Italia sono oltre 564.000 gli uomini che devono convivere con questa patologia, con un’età media di 72 anni al momento della diagnosi. Non possiamo permetterci di abbassare la guardia e dobbiamo mettere i pazienti nelle condizioni di non abbandonare i trattamenti”.

“Il Servizio Sanitario Nazionale – ricorda Mirone – nell’anno appena trascorso è stato sottoposto ad eccezionali pressioni e troppo spesso sull’altare del Covid-19 è stata sacrificata la continuità delle cure. Abbiamo avuto una contrazione di circa il 50% per le nuove diagnosi, ma abbiamo rilevato un crollo su tutti gli accessi: dai percorsi terapeutici, ai follow-up, agli screening. Abbiamo sopportato la riconversione dei reparti nella primavera 2020 per affrontare l’emergenza e contenere i contagi, ma a un anno di distanza, questo approccio non è più tollerabile e, se non corretto, ci porterà a pagare un prezzo altissimo in termini di vite umane, prognosi della malattia, costi diretti e indiretti. Come Fondazione PRO siamo intervenuti su un aspetto importante del fenomeno: la paura del contagio da parte dei pazienti che per non correre il rischio di trasmissione del Covid-19, hanno rinunciato a curarsi. A loro è rivolta la campagna “Per il cancro non c’è lockdown”, realizzata con il supporto incondizionato di Ipsen S.p.A. Tra le declinazioni del progetto, uno spot che vede testimonial Massimiliano Allegri e due sondaggi, con medici e pazienti, per comprendere la portata del problema, oltre a numerosi contributi proposti su www.fondazionepro.tv Per oltre il 70% dei 500 pazienti consultati il Covid-19 è fonte di forte preoccupazione e quasi il 40% pensa di essere più esposto al contagio a causa dei trattamenti anti-tumorali. Quattro malati su dieci hanno evitato di andare in ospedale durante la scorsa primavera, rinviando cure e visite e sette su dieci auspicano di poter assumere terapie trimestrali o semestrali, per ridurre al minimo gli accessi alle strutture sanitarie”.

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Per il 66% degli oltre 500 uro-oncologi interpellati, il Covid-19 ha indotto a modificare le proprie abitudini prescrittive per il carcinoma della prostata, mentre la metà degli intervistati rileva un peggioramento dell’aderenza terapeutica. “Ci sono due risorse – la cui portata è stata rilevata anche dai pazienti – che possiamo promuovere in questa fase ancora così critica della pandemia e in un momento in cui la fiducia nei percorsi ospedalieri “puliti”, Covid-free, è da ricostruire – spiega il Prof. Giuseppe Procopio, Responsabile Oncologia Medica genitourinaria della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano -. Da una parte la Telemedicina, uno strumento prezioso che può essere utile in alcune fasi della diagnosi e del follow-up e che va comunque opportunamente modulato, non potendo sempre sostituire il rapporto medico-paziente in presenza. L’altra opportunità, che ha incontrato il favore di 2 medici su 3 e che come clinici stiamo cogliendo, è il ricorso a quei trattamenti, trimestrali e semestrali, che garantiscono la continuità delle cure in totale sicurezza, soprattutto nel caso di carcinoma avanzato. Questo approccio consente a pazienti anziani, spesso affetti da comorbidità croniche come diabete, obesità o ipertensione, di andare in ospedale il minimo indispensabile. Una chiave che potrebbe contribuire a garantire l’aderenza e l’efficacia terapeutica”.

La presa in carico del paziente è centrale per un corretto trattamento e perché le persone affette da cancro alla prostata comprendano l’importanza dell’aderenza terapeutica. “Continuità di cura e sicurezza è quello che cerchiamo come pazienti – afferma Ciro Poziello, testimonial della Fondazione PRO -. Speriamo che il Covid-19 possa essere visto anche come un’opportunità per riorganizzare la nostra assistenza, coniugando la risorsa territoriale con quella ospedaliera. Confidiamo fortemente sulla Telemedicina, dal teleconsulto alla gestione a domicilio. Auspichiamo che goda presto di supporti istituzionali e non sia basata solo sull’iniziativa delle strutture sanitarie più efficienti e innovative”.

“Il nostro appello alle persone colpite da cancro alla prostata – dichiara il Prof. Mirone – è a non abbandonare i trattamenti per nessun motivo, consultando il proprio urologo o oncologo in caso di dubbi o timori. Come Fondazione PRO ci impegniamo a intervenire sul sommerso non diagnosticato con campagne educazionali come “Per il cancro non c’è lockdown” e a presidiare, in questa seconda ondata di contagi, i percorsi diagnostico-terapeutici riservati ai malati di cancro alla prostata”.

“La pandemia da Covid-19 ha portato i pazienti con tumore alla prostata e i clinici a chiedersi quale sia il modo migliore per gestire la patologia – conclude Stéphane Brocker, Presidente e Amministratore Delegato di Ipsen S.p.A. –. Siamo orgogliosi di sostenere il progetto della Fondazione PRO per ricordare a tutti che la diagnosi e le cure non possono aspettare”.

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