All’Ada anche gli studi di Fase 3 relativi ad una nuova molecola, la terzipatide, un doppio agonista GLP-1/GIP, con una formulazione a lunga emivita
Sempre più trattamenti possono aiutare i pazienti affetti da diabete di tipo 2. Diverse sono state le novità presentate nel corso del Congresso dell'American Diabetes Association e illustrate in Italia nel corso di un webinar di Sid, la Società italiana di diabetologia. "Ad oggi - dice Agostino Consoli, presidente della stessa società - numerose molecole sono disponibili per il trattamento di questa forma di diabete e sta diventando complesso decidere quale sia la strategia migliore da adottare".
Tra gli studi, uno è stato condotto su 5 mila pazienti con diabete di tipo 2 in trattamento con metformina, ai quali, in caso di mancato controllo glicemico, poteva essere aggiunto uno tra glimepiride, sitagliptin, liraglutide e insulina glargine. “Nel corso di un follow-up medio di 5 anni è stata valutata la percentuale di pazienti che, in ciascun gruppo, non riusciva a mantenere un controllo metabolico adeguato in termini di valori di emoglobina glicata (HbA1c).
Per quello che riguarda il peso corporeo, come prevedibile i soggetti trattati con liraglutide mostravano un calo ponderale nel corso del follow-up, così come i soggetti trattati con sitaglitpin (anche se, in questo caso, di minore entità). “Sorprendentemente, i soggetti trattati con glimepiride o insulina, pur non perdendo peso, non mostravano significativo incremento ponderale nel corso del follow-up. Il tasso di ipoglicemia era basso in tutti i gruppi, ma maggiore nei soggetti trattati con glimepiride e minore nei soggetti esposti a liraglutide o sitagliptin. Nessuna differenza tra i diversi farmaci è emersa relativamente agli indicatori di danno renale, mentre gli eventi cardiovascolari, nel loro complesso, risultavano meno frequenti nei soggetti trattati con liraglutide”. Lo studio “ha confermato che il trattamento con farmaci innovativi come gli agonisti recettoriali del GLP-1 può avere un impatto sul rischio cardiovascolare delle persone con diabete. Inoltre la molecola di questa classe utilizzata nello studio Ggrade ha confermato di essere capace di indurre una diminuzione del peso corporeo e di essere associata ad un bassissimo rischio di ipoglicemia”, aggiunge Consoli
Inoltre sono stati presentati all’Ada studi di Fase 3 relativi ad una nuova molecola, la terzipatide, un doppio agonista GLP-1/GIP, con una formulazione a lunga emivita, che ne consente la somministrazione una volta alla settimana. I dati relativi agli studi con questa molecola hanno dimostrato che terzipatide è molto efficace nel ridurre la HbA1c nelle persone con diabete mellito di tipo 2: circa il 90% dei pazienti riesce a raggiungere un target di HbA1c considerato ottimale (< 7%). Contemporaneamente la molecola induce un importante calo ponderale, con una perdita di peso che sfiora i 10 Kg in 40 settimane. Il processo richiederà ancora un pò di tempo, ma, sulla base di quanto riportato all’Ada, avremo presto un’altra potente arma per rendere più facile e più efficace il trattamento delle persone con diabete di tipo 2.
“Lo scompenso cardiaco – ricorda Angelo Avogaro, presidente eletto della Sid, ordinario di Endocrinologia dell’Università di Padova – è una delle complicanze più frequenti nel paziente con diabete di tipo 2. La co-presenza di iperglicemia e resistenza all’azione dell’insulina porta non solo ad aterosclerosi delle arterie coronariche e a infarto, ma anche ad alterazioni strutturali del cuore con conseguente incapacità dell’organo di contrarsi regolarmente. Abitualmente, in presenza di scompenso cardiaco, è presente anche una riduzione della funzione renale dal momento che i due organi si influenzano reciprocamente. I denominatori comuni che portano al danno combinato di rene a cuore sono un’eccessiva ritenzione di sodio, un’attivazione del sistema renina-angiotensina, l’attivazione del sistema adrenergico, e uno stato infiammatorio”. Il paziente con diabete ha, a qualsiasi età, un maggior rischio di soffrire di scompenso cardiaco, una condizione che, a tre anni dal suo insorgere, è gravata da una mortalità di circa il 60%.
“Tra i farmaci disponibili per il trattamento del diabete – continua Avogaro – gli inibitori del riassorbimento renale del glucosio chiamati gliflozine, non solo riducono la glicemia ma sono in grado di proteggere il paziente diabetico e non dal rischio di scompenso cardiaco. Tra le gliflozine ne esistono però alcune che, oltre che agire sul riassorbimento renale di glucosio, agiscono anche sul riassorbimento intestinale dello stesso: tra queste il canagliflozin e il sotagliflozin. Queste due gliflozine sono quindi dei duplici inibitori del riassorbimento di glucosio. Dei due, il sotagliflozin non è ancora disponibile in Italia, nonostante i dati ottenuti nei pazienti diabetici con scompenso cardiaco e malattia renale cronica siano stati già pubblicati sul New England Journal of Medicine”.
All’Ada sono stati presentati i dati combinati dei due trial; sotagliflozin ha ridotto riduce del 33% il rischio di un end-point combinato di morte cardiovascolare, ospedalizzazione per scompenso cardiaco, e visita urgente per scompenso, sia nel paziente con scompenso cardiaco recente e malattia renale cronica. Un dato ancor più eclatante è che tale riduzione non è stata osservata, come negli altri trial, solo nel paziente con scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta, ma anche nel paziente con scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata. In conclusione gli studi hanno confermato il ruolo fondamentale delle glifozine nel proteggere sia la funzione cardiaca indipendentemente dal tipo di scompenso sia la funzione renale. Sotagliflozin in particolare, inibendo anche il riassorbimento intestinale di glucosio, sembra portare un particolare beneficio alle persone abitualmente poco rappresentate nei grandi trial: le donne e gli anziani.
Le numerose sessioni dedicate al diabete di tipo 1 sono state seguite e commentate da Lorenzo Piemonti, membro del consiglio direttivo della Società italiana di diabetologia, professore associato di Endocrinologia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano Al congresso dell’Asa è stato presentato il nuovo Consensus Report congiunto Ada/Easd per il trattamento del diabete di tipo 1 che ha rivisto l’algoritmo per la diagnosi di diabete di tipo 1, ha introdotto nuovi target glicemici che tengono conto anche dei parametri legati al monitoraggio continuo della glicemia e ribadito la necessità di personalizzare la terapia (anche con l’ausilio della tecnologia) e l’alimentazione.
Grande importanza viene riservata agli aspetti educazionali e psicologici della malattia. Nel campo dell’ipoglicemia, che resta uno dei principali problemi della terapia del diabete (lo studio Sage ha dimostrato che fino a 2 pazienti su 3 presentano un episodio di ipoglicemia in tre mesi di osservazione), le proposte terapeutiche ancora in fase preliminare di valutazione riguardano le ‘smart insulin’, formulazioni ‘intelligenti’ in grado di rilasciare principio attivo in funzione della glicemia e il trattamento con formulazioni di glucagone stabili (ormone controregolatore dell’insulina) in associazione all’insulina nel ‘pancreas artificiale biormonale’ la cui approvazione da parte della Fda dovrebbe arrivare nel 2023.
In tema di terapia preventiva del diabete di tipo 1, il teplizumab (un anticorpo monoclonale umanizzato anti-CD3) utilizzato nei soggetti ad alto rischio di sviluppare diabete di tipo 1, ha dimostrato di riuscire a ritardare la comparsa dei sintomi di diabete di circa 2 anni. L’Advisory Committee dell’Fda ha già dato parere positivo per questa indicazione e a giorni è attesa l’approvazione definitiva da parte dell’Fda. Il teplizumab diventerebbe così il primo trattamento della storia per la prevenzione del diabete di tipo 1. Sul fronte della cosiddetta ‘terapia biologica’ del diabete di tipo 1, la terapia sostitutiva con trapianto di pancreas e di isole è ormai contemplata negli algoritmi terapeutici, per i soggetti con diabete instabile/problematico, laddove la terapia tradizionale fallisca. Nel frattempo le evidenze sulla possibilità di trattare i pazienti con terapie basate su cellule staminali si sta rafforzando ed è stata presentata la prova di principio di funzione in studi di fase 2.
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