Positività 0,97% e 2,8%, ma va confermata. Verso il test nazionale
Il diabete tipo1 e la celiachia rappresentano le due malattie croniche più frequenti tra i bambini e, proprio per intercettare precocemente queste patologie, la legge 130/2023 - la prima di questo tipo a livello internazionale - prevede l'attuazione di uno screening nazionale apposito. Un esame che funziona, come dimostrano i primi risultati del progetto pilota D1CeScreen, coordinato dal ministero della Salute e dall'Istituto superiore di sanità, presentati nella sede dell'Iss alla presenza del vicepresidente della Camera Giorgio Mulè, promotore della legge.
Una positività che però va confermata, per entrambe le patologie, dai centri clinici di riferimento, in quanto i test di screening presentano una maggiore percentuale di falsi positivi rispetto ai comuni test di laboratorio. "Questi dati - sottolineano Marco Silano e Umberto Agrimi, responsabili dell'Iss del progetto rispettivamente per il diabete 1 e per la celiachia - sembrano suggerire una prevalenza degli autoanticorpi contro il diabete di tipo 1 paragonabile a quella di altri Stati europei, mentre per quanto riguarda la celiachia è possibile che ci sia un aumento rispetto alle stime fatte finora, che però potrà essere quantificato solo con un campione più ampio e dopo la verifica diagnostica". Lo studio preliminare "ha analizzato i principali fattori per l'implementazione dello screening a livello nazionale - spiegano Silano e Agrimi - evidenziando l'elevata disponibilità sia dei pediatri di famiglia sia dei laboratori analitici a partecipare al progetto e ha inoltre mostrato l'efficacia dello screening nei soggetti asintomatici, favorendo l'attivazione di programmi di follow-up e interventi terapeutici tempestivi, con l'obiettivo di prevenire o ridurre significativamente le complicanze sia a breve che a lungo termine".
Nicola Zeni, presidente FID: “Proseguire con l’attuazione della Legge 130/2023 in tutto il Paese. Gli screening salvano vite e sono un prezioso boost per la ricerca”
È il risultato di uno studio clinico condotto da ricercatori dell'Università di Toronto
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