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Covid, Anaao: no alle Regioni che scorporano i ricoverati per altre cause

Sindacato Redazione DottNet | 14/01/2022 17:40

"E' un gioco delle tre carte con i cittadini italiani nel ruolo del passante sprovveduto"

Il nuovo sistema di conteggio dei pazienti ricoverati per Covid, che scorpori i ricoverati per altre cause, richiesto dalle Regioni, rappresenta, a parere dell’Anaao Assomed, un mero espediente di equilibrismo contabile. Un gioco delle tre carte con i cittadini italiani nel ruolo del passante sprovveduto.

Gli ospedali sono pieni di pazienti infetti e poco importa se essi sono ricoverati per patologie legate al Covid o se hanno scoperto di essere infatti recandosi in ospedale. Perchè, come sa chi conosce l’organizzazione ospedaliera, il paziente Covid positivo richiede, comunque, personale dedicato obbligato a lunghe procedure di vestizione e svestizione e isolamento in spazi dedicati, da creare appositamente, generalmente riconvertendo altri reparti. Senza contare il blocco delle sale utilizzate per gli accertamenti diagnostici a causa delle procedure di sanificazione e la difficoltà di dimissione in RSA o lungodegenza e perfino a domicilio. Tutti motivi che rendono il cambiamento del metodo di calcolo inefficace ai fini della riduzione del carico di lavoro ospedaliero.

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Tutti gli ospedali hanno evidenti problemi di personale e posti letto e necessitano non di fumose e oziose discussioni sui metodi di calcolo quanto di soldi e risorse fresche, come Anaao chiede da tempo. In una Italia che ha un basso tasso di posti letto per mille abitanti rispetto al resto d’Europa (3,2‰ vs 5‰), la riconversione dei reparti, a qualsiasi titolo avvenga, determina evidenti limitazioni per il ricovero delle patologie "ordinarie". Tanto più che è probabile un prossimo ulteriore aumento della pressione in termini di ricoveri, anche di quelli in terapia intensiva, visto il ritardo con cui la curva segue quella dei contagi.

La crisi attuale del sistema ospedaliero è vera, come è certo il suo peggioramento, in assenza di interventi urgenti che diano respiro a un personale stremato oltre misura, cui si continua a chiedere di fare "tantissimo", senza riposi e senza ferie. Il burnout psicologico e fisico è diffuso, come la demoralizzazione dopo due anni di superlavoro e la frustrazione di fronte ad ostilità ed aggressioni, non solo verbali, da parte di molti pazienti. Chi rimane in trincea sta pagando prezzi salati anche a catene di comando inadeguate ed a violazioni palesi di diritti legislativi e contrattuali.

Non si esce dalla crisi sulla pelle dei medici ospedalieri nè rimanendo uguali a come si è entrati. Il gioco dei vasi comunicanti, prodotto dalla riconversione di interi reparti e dalla chiusura di attività ambulatoriali e chirurgiche non urgenti, porta acqua alla pandemia parallela delle prestazioni rinviate, negazione di un diritto costituzionale e causa di future malattie.

Si sta mettendo a rischio la sanità pubblica di oggi e quella di domani. Se essa è un bene fondamentale, intervenga il Presidente Mattarella che ha a cuore "come patrimonio inestimabile di umanità, l’abnegazione dei medici, dei sanitari, dei volontari". Intervenga il Presidente Draghi, se è convinto che nella risposta alla epidemia "i medici sono quelli che hanno fatto di più". Intervenga il Ministro Speranza se ancora crede che "dobbiamo ripartire da chi questo sistema lo ha fatto diventare grande".

I professionisti che lavorano in corsia, negli ambulatori, nei laboratori, nelle guardie dimenticate da tutti, nei Pronto soccorso affollati aspettano segnali concreti. Per non dire un giorno che tutto si doveva fare e niente è stato fatto.

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